Necessario, pressoché inutile

di Shameless

Arrivava con passo felpato e si fermava alle mie spalle. Io ero seduta davanti al centralino in attesa di una telefonata che mi salvasse. Lui in piedi allungava la mano e cominciava a accarezzarmi i capelli, sentivo il suo respiro farsi più affannoso. Quel rimestare nella mia chioma in un frenetico crescendo mi paralizzava. Prima che potessi voltarmi si allontanava, il giorno dopo ricominciava. Un uomo giovane e fidanzato. Un professionista serio e preparato. Uno dei miei capi. A questo si aggiungevano continui rimproveri fuori luogo, o dichiarazioni d’amore e desiderio rivoltanti. Continuava a ronzarmi intorno come un fastidioso moscone, di quelli impossibili da schiacciare o scacciare.

Nei tempi in cui mi potevo permettere di essere giovane e desiderabile i termini mobbing e stalking non facevano parte del linguaggio corrente in Italia, quel linguaggio che si è formato negli ultimi trent’anni, composto da una semplificazione semantica transnazionale di parole ovunque assimilabili e ricordabili. Peccato che sia andata così, ma non è di questo che voglio scrivere.

Tornando alla me di allora, che dire? Lavoravo in un ambiente prevalentemente maschile, mi ero trasferita dalla città alla campagna, avevo le gambe lunghe e mi vestivo “da donna”, senza scoprirmi troppo, ma insomma non mi mascheravo da suora.

Prima della mia assunzione definitiva dovevano passare quattro mesi, durante i quali potevo essere licenziata in tronco senza motivo. Già percepivo uno stipendio misero, un buon terzo in meno del mio precedente, senza quello l’impalcatura sulla quale stavo cominciando a costruire il mio futuro sarebbe crollata. Dovevo per forza essere confermata.

Con il senno di poi mi rendo conto di come sarei comunque riuscita a restare e andare avanti, allora però mi sembrava insormontabile reagire, denunciare quel subdolo modo di fare, quella strisciante prepotenza maschile. Esisteva un sistema omertoso fra i miei colleghi, vedevano ma non intervenivano. Più tardi seppi che avevano scommesso sulla riuscita o il fallimento nella sua seduzione.
Seduzione?

Quella era violenza bella e buona. Quasi nessun contatto fisico, ma uno stillicidio psicologico basato sul desiderio di controllo da parte di un maschio vigliacco nei confronti di una femmina la cui sopravvivenza economica dipendeva da lui.

Un destino comune, purtroppo. Leggo di esperienze simili, umilianti e continuate. Per rimanere nel campicello eno-gastronomico arrivano notizie di “giustizia è fatta”, nel senso che un persecutore famoso è stato punito con una pena, seppur lieve, almeno significativa.
Si tratta però della sommità di un iceberg sociale e culturale che ancora non si scioglie. Il ghiacciaio della sottile discriminazione che inizia da “meglio un uomo, le donne figliano e non sono affidabili” nella scelta di chi assumere anche se con capacità minori, continua con un trattamento mortificante – alcuni lo chiamano “corteggiamento” – e con l’omertà nel tacere perché tutto sommato quel genere di comportamento non è pericoloso. Dobbiamo dunque aspettare uno stupro, o botte da orbi, prima che si noti un disagio che provoca sofferenza?

Sono stata fortunata, poco prima che scadesse il periodo di prova, il mio persecutore partì per un viaggio di lavoro. Io mi tagliai i capelli. Al suo ritorno mi disse che era desolato ma dovevo essere trasferita a un altro reparto. Cominciai a respirare e egli trovò un’altra vittima, poi un’altra ancora. Sempre con quel modo di fare al limite della decenza riuscì a cavarsela anche quando il mormorio, le voci, diventarono più alte. Col tempo si mise a posto, anche caratterialmente e dopo tanti anni ci incontrammo davanti a un bicchiere, senza risentimenti da parte mia e scuse da parte sua.
La cicatrice però rimane, non la più importante, ma pur sempre una cicatrice.

Per motivi anagrafici sono da tempo fuori da questi giochi di potere e di controllo, ma non dimentico. Non dimentico e soffro nel vedere come ancora ci sia questa mentalità, questo appizzamento ormonale che fa perdere la capacità di rispetto da parte di uomini che possiedono un potere, anche minimo. Soffro per le donne che ne sono succubi e anche per tanti altri uomini per bene che si trovano coinvolti nel disprezzo verso la categoria maschile in generale.

Quanto scritto è una testimonianza, necessaria per me e la mia coscienza, pressoché inutile per provocare un qualsivoglia cambiamento. Non farlo però mi è stato impossibile.

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