di Fabio Rizzari
L’argomento non è nuovo ma chi sono io per non ritessere l’infinita trama del mondo (del vino)?
Per un palato coltivato è importante essere sanamente cauto – ovvero sospettoso, ovvero addirittura severo – verso la cosiddetta “grande annata”. Di solito grande annata è sinonimo di vini poderosi, intimidatori, egregi nel significato letterale di “fuori dal gregge”.
A me il gregge piace, mentre non amo il monumento isolato al centro della piazza. Il monumento all’eroe si ammira con deferenza. Con il passare del tempo l’eroe diviene una figura sacra, inattingibile.
La pecora è invece un’amicona: vallo a dire ai sardi.
Reduce dai tradizionali assaggi en primeur a Bordeaux, ho sentito ripetere fino allo sfinimento il ritornello: “è un millesimo irregolare, piccolo, però [segue il nome dello Château]”.
Per me la 2021 nel bordolese è un’annata promettentissima. Dico di più: si approssima alla mia annata ideale. I migliori rossi sono infatti:
a) poco alcolici per questa èra geologica (sui 13 gradi)
b) maturi e saporiti nei tannini, che non hanno alcuna sfumatura vegetale
c) scorrevoli, privi di ammassi tannici indigesti a centro bocca
d) ultrafreschi: vale a dire che il classico finale bordolese, rafraîchissant (rinfrescante), balsamico, arioso, si presenta moltiplicato al quadrato
Che si vuole di più? scambio senza esitazioni una vendemmia “piccola” come questa con decine di annate “memorabili”.
PS ne scriverò più diffusamente, con tanto di nomi, in prossimi contributi
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