Intervallo coatto

Cielo appena un po' nuvoloso

di Snowe Villette e Raffaella Guidi Federzoni

Ce semo messe co’ DuCognomi fuori ner portico a guarda’ er temporale. Poco prima der tramonto, s’era fatto buio e silenzio, come a trattene’ er fiato prima de buttasse da quarche parte.
Poi se so’ sentiti uno, due, tre, na cinquina de tuoni cor crescendo stereofonico. Ho penzato alle scòre* de mi nonno dopo na magnata de pasta e ceci, ma me so’ stata zitta perché l’amica mia ciaveva la faccia da filosofa e quanno è così nun se po’ scherza’.

Dopo li tuoni, so’ cominciati i fulmini. Sembrava la fine der monno, ma bella però, apocalittica più dell’esodo pe’ le vacanze estive (cit. TG5).

Ner buio se vedeva solo la brace de na sigaretta, fumata da DuCognomi co’ stile Anni Quaranta. L’amica mia quanno vò sa fa’ puro quello, l’attrice der bianco e nero. Ner caso, più nero che bianco. Morto più nero.

“Sarà contento chi lavora in vigna, domani sarà più fresco. Ma se grandina siamo rovinati.” Fino a qui l’ho seguita, e come nun dalle raggione, cielosanno pure al Tiggì che d’estate se schianta de cardo e i vecchi poveri morono de più che in primavera.

“Lo sai che vuol dire lavorare in vigna d’estate? Alzarsi prima dell’alba per essere lì dalle sei fino all’una, sistemare il fogliame con le braccia che alla fine ti cascano. Non senti più le spalle e le gambe invece le senti eccome.” Ho cominciato a impaurimme, quanno DuCognomi attacca così, dopo na boccia speciale, nun se ferma.

“Eccerto, mica se po’ anna’ fra i filari colle infradito, ce vojono scarpe a prova de serpi” Ho provato a dalle spago.

“Io posso sbattermi ovunque nel mondo, ma se non ci fossero loro, a preparare le viti, facendosi un culo quadro, il mio lavoro non servirebbe a niente.”

“Meno male che er capo tuo ha sistemato gli impianti così che se fatica de meno.” L’ho buttata lì, tanto pe’ faje vede’ che avevo studiato gli appunti sua.

“Sì, ma io penso in generale. C’è chi giudica il vino e chi lo fa. E per farlo bene, bisogna andare in vigna. Anche a quaranta gradi, con il sole che morde.”

“Chi giudica er vino d’estate se fa er culo comunque.” Ciò messo na parola bòna pe’ l’editore de sto blogghe, che a lui porello de questa staggione tocca assaggia’ tannini spinti mortiplicati pe’ cinquanta e più, e ce ne fosse uno che je dice grazie.

“Le foglie proteggono dal sole e dalla grandine. Oppure consumano la riserva idrica che servirebbe al grappolo. Tutto dipende dall’intelligenza dell’uomo nell’anticipare i rischi di ogni stagione.” DuCognomi è na patita dell’Omo, inteso come essere umano che se dà da fa’ pe’ migliora’, o peggiora’, la Natura.

Ce sèmo zittite, intanto gli elementi naturali der cielo se scatenavano naturalmente. Sembrava de sta’ alla Bastiglia il 14 luglio.

La sigaretta era finita. Colla voce de Bette Devis l’amica mia conclude:
“I grappoli in questa stagione hanno acini di diverso colore. Uno bianco, uno rosato, uno già rosso. È uno spettacolo commovente seguire l’invaiatura. Quasi come un parto. Noi possiamo solo trattenere il respiro. Da ora in poi tòcca alla natura darsi da fare. Se il cielo castiga, le viti più vecchie che hanno memoria, reagiscono.

Chi è nuovo o semi-nuovo di questa cultura dà già per scontato il destino di una vendemmia. Ma chi sa veramente, tace e va avanti.”

M’ero già arzata, pe’ anna’ a cerca’ quarcosa de forte da beve, ma l’amica mia cià dovuto mette’ er bis:

“Non è forse il grappolo come il nostro cuore di uomini? La forma è simile.”
Oddio, gesùmarria, ho penzato, e mo a questa chi la ferma?

“Le foglie sono la nostra difesa, ma anche la nostra condanna. Se non si scopre il cuore al sole per paura di bruciarlo, tutta l’energia va finire nel posto sbagliato.”
Alè! Me so’ alzata decisa, er temporale era finito. Tempo de uisky, o come se scrive.
Come dicheno Oscio e tutti i saggi su Feisbukk, “Dopo la pioggia ce sta sempre er sole. E se è notte peggio pe’ te che ancora nun dormi.”

* Flatulenze

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