di Faro Izbaziri
Cos’è il genio? Il genio è uno spostamento. Uno spostamento dal recinto dell’ovvio e del prevedibile verso le terre incognite circostanti o addirittura lontane e lontanissime.
Tale scarto può essere visionario oppure frutto di un’insofferenza vaga, non ben definita, verso i paletti piantati dalla tradizione. I produttori di vino che ricadono nel primo caso sono rarissimi. Molti fanno invece vini eterodossi per il solo fatto di non voler fare vini convenzionali. Un cabernet da uve appassite sei mesi sul pontile di una nave cargo, perché no? Un moscato vinificato in rosso, previa permanenza di nove anni sulle bucce – più l’intervento di una cartomante e di alcune bustine di tinta idrosolubile – perché no?
Invece il vignaiolo/vinificatore visionario è rarissimo. Segue una sua idea, ma anzi no, non un’idea impalpabile: un forma che è insieme mentale e fisica, intuitiva e percettiva, astratta e concreta.
L’esempio più saettante di questa categoria, rarissima, è Jean François Coche Dury. Il suo Meursault – 2007, per dire dell’ultimo assaggio – rivela di essere plasmato su una forma netta, chiara, scolpita. Una forma riconoscibile come firma.
“Il bianco deve avere una certa parte di souplesse, una certa parte di freschezza acida, una certa parte di salinità, una certa parte di dolcezza di frutto”, dice Jean François. E fin qui si sta nel recinto.
Dove lo scavalca, Coche Dury?
Coche Dury lo scavalca fondendo tali petizioni di principio in una forma unitaria, in cui tutti i diversi stimoli sensoriali si concentrano in un’unica megasensazione. Infatti un Meursault di Coche Dury non è – prima e/o poi – fresco, morbido, duro, salino, fruttato. Non è equilibrato in senso rassicurante, come somma bilanciata di spinte e controspinte. È oltre questa soluzione architettonica.
Non è insomma come una testa di Giano bifronte, che ruotando mostra le diverse facce*.
Oh, potesse il bevitore illuminato avere tanta fortuna, quanta lunga vita arrida al rarissimo Jean François Coche Dury.
* “sapete cosa mangia il leone? Il leone mangia facce”
Francesco Salvi, ca 1997
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