di Raffaella Guidi Federzoni
Può succedere che qualcuno si svegli la mattina troppo presto, quando appena un raggio di luce fra le persiane interrompe il buio di una notte che fatica ad andarsene. Durante quell’ora sospesa il qualcuno decide di costruire una città dal nulla e di farlo non in cinquanta anni, ma in cinque.
Quel qualcuno non è uno qualsiasi, bensì il presidente di una nazione nuova, immensamente grande, immensamente ricca e immensamente povera.
La motivazione potente è di portare al centro di tale immensità la capitale, spostandola dal nord est atlantico, in modo da favorire una più equa distribuzione della popolazione, dei traffici commerciali e quindi del benessere.
Nella storia di questo progetto c’è un po’ di leggenda e un po’ di santità. La leggenda di un Santo* italiano che sogna la metropoli del futuro.
C’è anche tanta follia e per la realizzazione della quale il presidente chiama tre uomini:
un urbanista
un pianificatore di aree verdi
e un genio.
Il disegno della città riporta ad una croce o ad un aeroplano. Oppure ad un uccello gigantesco che dispiega le ali, spinto dal vento forte di una concezione modernista, in quel momento al suo apice.
Seguendo tali aspirazioni teoriche, la città viene costruita dividendo le varie zone di operatività da quelle di residenza. Vengono studiate aree per i ricchi, quelle per i benestanti e quelli per i “malestanti” , con l’idea di strappare questi ultimi dalle baracche precarie in cui sono abituati a vivere.
La città viene costruita in quarantuno mesi.
Juscelino Kubitschek è il Presidente.
Lùcio Costa è l’Urbanista.
Roberto Burle Marx è il Pianificatore delle aree verdi.
Oscar Niemeyer è il genio.
I quattro personaggi ed interpreti principali dell’Opera di nome Brasilia sono ormai cenere e vermi nella terra, ma quel che hanno creato esiste, resiste e va avvicinato con cautela.
Sono partita per Brasilia pronta ad un impatto con qualcosa di visionario, disperato, assurdo, fuori scala, incongruo, obsoleto e persino crudele. In misura diversa tutto ciò è presente nella città, ma la grandiosità spietata di un sogno ha cancellato il mio pregiudizio e mi ha regalato nuovi occhi.
La parte centrale ed originaria della città è uno spazio piatto, vicino all’acqua di un lago che da naturale è diventato artificiale. Ci sono larghe strade lineari, vastissimi prati spelacchiati che circondano dei piazzali con al centro dei monumenti in gran parte molto chiari. Scritto così sembra un agglomerato urbano banale e ripetibile in altri luoghi ove regnano altri presidenti, più o meno assoluti.
Invece non c’è nulla di banale o ripetibile, c’è invece il pensiero di un genio nel riuscire a rendere unica la poesia della pietra, intesa sia come marmo che come cemento armato, cioè materiali inerti.
Le linee rette
Le linee curve
Lo slancio
Le proporzioni
Il coraggio
La sfrontatezza
L’importanza del potere terreno viene divisa in tre, legge-giustizia-esecuzione, ed ogni rappresentazione di questa trinità è stupefacente per la leggerezza innovativa, seppure imponente. I palazzi situati nella Piazza dei Tre Poteri sono la chiave di lettura iniziale per dare un senso a Brasilia. In ciascuno di essi c’è l’impronta di un uomo dal talento immenso e dalla libertà sfrenata.
Il potere spirituale però vince, perché per me l’espressione migliore della poesia cementificata, l’ambizione di rivolgersi a Dio con fierezza attraverso l’arte, è tutta nella Cattedrale che ho visitato dopo aver parcheggiato senza problemi ed essere passata indifferente davanti a pochi banchetti di souvenir, mescolandomi agli scarsi turisti, quasi tutti autoctoni.
Di fronte all’ingresso sono piazzate quattro statue di bronzo raffiguranti gli evangelisti, un poco ingombranti ed incongrue per la visuale a tutto tondo della cupola che si vorrebbe godere senza intromissioni.
Però funziona, basta trovare la prospettiva giusta.
Poi è sufficiente entrare in silenzio, come si deve entrare in una chiesa, e regalarsi il tempo per ascoltare la voce poetica rimbalzata dalle meravigliose vetrate che sono acqua e sono cielo. Sedersi al di sotto degli angeli che calano dal centro con la stessa grazia di una foglia quando abbandona un ramo.
Io conosco le chiese, sono nata in una città che è il sunto della Chiesa nel mondo. Ho calpestato i pavimenti di cappelle e cattedrali, mi sono inginocchiata al di sotto di cupole e capriate vecchie di secoli ed immortali nella loro bellezza.
Così come ho letto preghiere, a volte piangendo.
Col tempo sono diventata più sensibile ad una voce sottile che non serve a niente dal punto di vista pratico, ma è indispensabile per la consapevolezza di essere anche un’anima. All’interno della Cattedrale di Nostra Signora di Aparecida, la cui prima pietra fu posta nell’anno della mia nascita, ho recitato una preghiera di ringraziamento.
Sono poi uscita nel silenzio, così poca gente a visitare una cattedrale, era quasi irreale.
La tappa finale è stata la visita al JK Memorial, che è “l’ultimo saluto” a Juscelino Kubischeck voluto e finanziato dalla sua vedova e progettato sempre da Oscar Niemeyer.
L’edificio visto da fuori è evocativo ed efficace nel riassumere la figura di un sognatore che per un po’ è stato Presidente, giusto il tempo per creare una capitale dal nulla, industrializzare un paese in gran parte contadino, aumentare il debito pubblico e creare un’immagine del Brasile più moderna e competitiva. Un monumento privo di alcuna timidezza e pudore, circondato dal quasi nulla, impressionante per la forza propulsiva composta nelle linee architettoniche disegnate da un genio ormai maturo.
Ho voltato infine le spalle a Brasilia, città che ha la mia età, avulsa da qualsiasi definizione, se non quella di luogo in cui l’unico vincitore è il disegno di un poeta.
Questa nella maniera più nobile è la figura dell’Architetto, fin da quando si è cominciato ad utilizzare la pietra per la raffigurazione dell’idea umana.
Questo è stato Oscar Niemeyer e di fronte alla sua figura mi inchino, con un po’ di tremarella, pensando a quanto piccoli siamo tutti, sempre più piccoli dei nostri sogni.
- San Giovanni Bosco
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