di Faro Izbaziri
Il giorno 9 agosto ultimo scorso si è svolta, negli spazi esterni del Ristorante Lo Scoglietto di Rosignano Solvay (Livorno), la seconda riunione tra alcuni membri (absit iniuria verbis) dell’Accademia degli Alterati e del Sodalizio Muschiato. Nell’occasione si sono stappate alcune decine di bottiglie di vino – sulle quali il tacere è bello – e si sono dette alcune decine di cose, delle quali non ho voglia di riferire qui.
Come unica testimonianza visivo-sonora riporto – con il beneplacito di Michele Placido – un video del grande Maestro Federico Maria Sardelli mentre legge il sublime poema del Borzacchini Andar per Vigne di Proda in Proda.
Si tratta purtroppo di un torso incompiuto: pensando di far partire per tempo la registrazione, uno degli alterati (il sottoscritto) ha perduto in realtà una porzione significativa della performanza: per sua colpa, sua colpa, sua grandissima colpa.
Per agevolare la visione riporto il testo integrale del componimento, con indicazione della parte iniziale mancante e – evidenziata in grassetto – la sezione finale fortunosamente salvata:
(Mancante) “Egli, il chiaretto, si rivelò, al colore, pudibondo e nuvoloso, ma contemporaneamente barbagliante d’un rubinaccio spento, quasi pennellato di terrose riminiscenze, ricordando certi trebbianelli ambiziosi o i sangiovesi adulti da salotto.
Ma al gusto fu la vera sorpresa: squadrato e sentenzioso negli avancorpi, fu subito dopo ruspigno e cipollato nel centro destra, mentre l’ala sinistra scivolava ampollosamente sugli strascichi gargamellosi e dorotei dei lambruschini claudicanti dell’Oltrepò Pavese; il bouquet spingeva dapprima con insistenza sul fragolato pesto, ammiccando però alle v…”
…aniglie zebrate e ai pistacchi esotici, mentre la coda si impennava orgogliosamente sulla papillazione di mentuccia fungata e di vaghe tisane del sottobosco friulano dalle parti di Cividale.
Non v’era traccia e non me ne dolsi, di retrogusto, se non a fiocchetti spenti di sparagio salvatico, qua e là punzonati di asciutto rigno di muflone d’Abruzzo.
Il corpo, magniloquente e pomposo, aggrediva poi il palato con fare sprezzante ed ortogonale, aggallando nella faringe a piccole e frequenti bolle chiacchierine, senza peraltro obliterare l’ugola, anzi molcendola come rorido, tiepido pelo di nutria.
Frusco, ben pasturato e solenne nelle intenzioni, il vino risultò altresì leggermente gianduiato nella maturazione, reclamando ancora un poco di riposo, forse ad acquisire vieppiù rango e stoffa, senza però pretendere il decoro marchionale dei fratelli maggiori: il Succhiasassi Tartufato nature di Roccapregna del Vulture ed il leggendario Zoccolato rosè dei Conti Cucchiaioni Papera di Poggio Merdoso.”
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