di Federico d’Amely
Gadda è il Joyce Italiano?
Difficile dirlo.
Di certo hanno fatto un po’ di strada insieme, tra la fine di un secolo che non finiva mai e il tragico inizio di un altro, che sarà invece breve.
Entrambi hanno lasciato cose che sono state accettate e anche altamente considerate proprio per una certa loro evidente e direi anche gridata stranezza modernista, ma le differenze ci sono: e pesano.
Quelle di Joyce sono facilmente e rapidamente assurte al rango di pietre miliari della letteratura mondiale, mentre la considerazione di Gadda ha sempre stentato a diffondersi – più che mai all’estero. Come mai?
La lingua, temo: Joyce infatti scrive in Inglese proprio quando l’Inglese soppianta il Francese tra i must have delle persone più colte, mentre il povero Gadda non domina che l’Italiano, che persino in Italia è poco conosciuto – e infatti il dialetto, anzi i dialetti, sono bene integrati nelle sue opere, il Francese – eh si… proprio lui!, e infine il Tedesco, quest’ultimo magari solo per Assiale necessità.
L’uno quindi si rivolge ad una platea molto ampia, mainstream e diffusa su entrambe le sponde di un Oceano sempre più piccolo;’l’altro invece parla ai lettori d’Italia, ai reduci ungarettianamente mutili, agli sparuti cultori delle belle lettere nel dopoguerra tumultuoso, e senza peraltro sottovalutare i critici.
Nello struggle for life letterario l’uno quindi parte in vantaggio, e l’altro invece con l’handicap.
Di certo Joyce, sebbene in quanto Irlandese relativamente periferico rispetto alla cultura anglosassone, è e vuole essere quanto più è possibile aperto, cosmopolita e spregiudicato – come dire: moderno, novecentesco. Con le sue peregrinazioni e le sue frequentazioni incarna le principali inquietudini sue contemporanee, e rappresenta le sue opere più importanti applicando senza compromessi uno sperimentalismo rischioso e proficuo, che riporta solo al non secondario precedente del Tristram Shandy.
Gadda, invece, è classico, ottocentesco, rinchiuso in una dimensione che è più angusta del mondo in cui vive: più che aperto è vigile, più che cosmopolita è, suo malgrado, un viaggiatore, e le sue nevrosi non gli consentono mai di essere spregiudicato. I suoi precedenti sono il Manzoni e il Parini, le cui illuministiche armi non possono più nulla contro la mitraglia, i gas, i cannoni e gli altri inconcepibili orrori di una guerra moderna, e quindi globale.
Eppure: le assonanze non mancano.
I Dubliners non possono non farci pensare all’Adalgisa e alla Madonna dei Filosofi, così come l’Ulysses e il Finnegans wake sembrano tappe di un progetto espressivo e letterario declinato negli anni quasi allo stesso modo in cui Gadda costruisce la Cognizione del dolore e il Pasticciaccio, cioè continuamente accumulando e stratificando pensieri, esperienze e materiali fino a comporli in opere, complete ma non del tutto compiute, e scritte esplorando e sperimentando le possibilità espressive del linguaggio.
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