di Pietro Palma
Ogni aspirante sommelier o appassionato dell’enomondo, prima o poi, si trova davanti al capitolo dedicato alla Repubblica Sudafricana ed ai suoi vini. In poche righe viene liquidata e condensata una storia secolare e, l’unica nozione che ci viene piantata a forza in testa, è che il vitigno principe e faro dell’intero paese sia il pinotage, insolito incrocio di due genitori apparentemente incompatibili come pinot noir e cinsault. Stop, non ci viene detto altro e, visto che possibilità di assaggio di vini sudafricani nel nostro paese sono abbastanza residuali, il gioco finisce qui.
Una ventina di giorni trascorsi in Sudafrica e qualche centinaio di assaggi, mi hanno consentito di capirci qualcosa di più e di crearmi una mia idea sul pinotage, almeno credo.
L’origine del vitigno è quella nota a tutti: nel 1925 il Professor Abraham Izak Perold, primo professore di viticoltura dell’Università di Stellenbosch, creò questo incrocio con l’intento di compensare le fragilità del pinot noir con la forza mediterranea del cinsault, allora conosciuto col nome di Hermitage. Idea di tutto rispetto… se fosse ben riuscita.
Lo stesso Perold abbandonò la sua creatura che fu casualmente recuperata anni dopo e pian piano portata alla ribalta in uno scenario vinicolo acerbo e in cerca di identità, all’interno di un paese altrettanto in fase di cambiamento ed evoluzione dopo la caduta dell’apartheid e l’ingresso nel mondo globalizzato.
Negli anni ‘90 del secolo scorso nasce quindi la fama di questo vitigno come portabandiera del Sudafrica, complice anche l’exploit di Kanonkop, cantina che raccolse diversi allori di importanza internazionale, come quello di winemaker of the year all’IWSC di Londra nel 1991.
Le aziende si trovano dunque a celebrare e diffondere un campione che campione non è. Si tratta di un buon vitigno, versatile, profumato e dal tannino saldo, ma non di un fuoriclasse. È un po’ come quando, nell’era del non politicamente corretto, al colloquio con gli insegnanti dicevano ad un genitore “suo figlio si applica, ma nonostante l’impegno proprio non ci arriva.”
Ecco, il pinotage si applica, a volte molto, ma non ci arriva ad essere un primo della classe.
Pian piano se ne rendono conto anche le aziende e, per supplire, tamponare o completare le mancanze del vitigno, si inventano mille modi. Modi a volte abominevoli agli occhi del pubblico europeo, dal pensiero puntellato sulla tradizione e meno avvezzo a stravaganze e ad arditi esperimenti vinicoli.
Di seguito una carrellata di pinotage “famolo strano” che ho avuto modo di conoscere e degustare accanto alle classiche versioni più canoniche.
DIEMERSFOUNTAIN – THE ORIGINAL PINOTAGE 2018
Vinificato con doghe di legno in infusione nelle vasche d’acciaio, il capostipite di uno stile chiamato coffee-chocolate, come i sentori che il vino acquisisce senza dover sostare in costose barrique.
MELLASAT – WHITE PINOTAGE
Primo, e nei miei assaggi unico, vinificato in bianco e invecchiato in legno rumeno. Bene ma non benissimo.
FAIRVIEW – BROKEN BARREL 2017
Pinotage in uvaggio con una piccola percentuale di Durif. Etichetta dedicata ai creatori dei due vitigni, il già citato Perold e François Durif. Praticamente un uvaggio tra Frankenstein e la moglie di Frankenstein.
BELLINGHAM – PINOPASSO 2017
Pinotage della Valpolicella, ottenuti con ripasso e appassimento, per pompare morbidezze e rotondità.
Povero pinotage! Praticamente ogni azienda cerca una sua strada, un’interpretazione personale per nobilitarlo e renderlo appetibile, a costo di maltrattarlo e renderlo vittima di esperimenti ed accanimenti terapeutici. Un carattere vero e unico non è ancora stato trovato. L’impressione che ho avuto è che ormai il vitigno c’è, è un simbolo del paese e va usato. Deve esserci ma è ancora in cerca di un’identità precisa.
Vi ricordate il personaggio che interpretava O.J. Simpson ne La Pallottola Spuntata? Era l’agente Nordberg, quello a cui gli sceneggiatori hanno fatto di tutto, l’hanno fatto cadere, colpire, fratturare, cadere in mare, incendiare… Lo hanno sottoposto ad ogni sfiga possibile, ma era funzionale alla trama e alla riuscita del film.
Così ho visto il pinotage, come l’agente Nordberg dei vitigni: vinificato in bianco, in rosso, spumante, con doghe, botti, appassimenti e ripassi; i cantinieri gliene fanno di tutti i colori, ma lui resiste e si rialza in attesa della prossima botta, tanto sa di essere l’insostituibile vitigno simbolo del suo paese (anche se non il più diffuso, primato che spetta allo chenin blanc).
Dopo le stranezze segnalo anche alcuni assaggi veramente validi, vini eccellenti per equilibrio, definizione e piacevolezza. Vale la pena cercarli e assaggiarli, perché, quando si applica, il pinotage sa essere veramente buono. Anche se non è un genio.
BABYLON’S PEAK – PINOTAGE 2017
DAVID & NADIA – PINOTAGE 2018
KANONKOP – PINOTAGE 2017 oppure PINOTAGE BLACK LABEL 2016
KWV – THE MENTORS PINOTAGE 2017
MORESON – THE WIDOW MAKER PINOTAGE 2016 oppure MKM PINOTAGE 2016
Se il secondo sabato di ottobre non sapete cosa fare e volete una scusa per stappare una buona bottiglia, sappiate che è la giornata dedicata al pinotage. Viste le sofferenze che alcuni enologi gli fanno passare per ottenere risultati altalenanti, potremmo definirlo il giorno di San Pinotage martire, il che ce lo rende immediatamente più simpatico e festeggiabile.