di Shameless
Al quinto giorno di autosegregazione non si preoccupò di levarsi il pigiama. Si era affezionata al suo odore che non era proprio ancora puzza, piuttosto un concentrato di disinfettante, parquet appena polveroso, sapone di Marsiglia, persiane accostate. Si guardò le mani, sul dorso di entrambe la pelle era raggrinzita ed arrossata. Decise di non lavarle più nelle prossime ventiquattro ore. Era sola e non doveva toccare nessuno.
Si sedette davanti al computer tenendo il cellulare a portata di mano.
Inspirò intensamente come prima di tuffarsi in un mare molto freddo.
Un tuffo che già sapeva quanto sarebbe stato traumatico, ma che doveva essere compiuto.
Espirò lentamente e cominciò a scrivere.
“Lista delle tentazioni a cui non riesco più a resistere dopo centoventi ore di solitudine forzata. Che il Signore mi perdoni, e comunque è colpa Sua se ora sono costretta a fare ciò che sto per fare. Colpa Sua e dei cinesi.
L’ordine è il seguente:
-non lavarsi,
-rimanere in pigiama,
-ripescare un vecchio amore di quarant’anni fa,
-aprire quella bottiglia gelosamente conservata,
-intervenire in modo originale sui social riguardo ai recenti fatti sconvolgenti,
-cucinare ricette eccessivamente glicemiche,
-rivedere per l’ennesima volta Harry ti presento Sally, Orgoglio e Pregiudizio, A qualcuno piace caldo,
-telefonare a chi ti sta sul culo da anni per dirglielo direttamente,
-scrivere una storia.”
Terminata la lista si sentì sollevata, tirò una riga sulle prime due voci e si concentrò sulla successiva.
Si ricordava benissimo come si chiamava e anche la sua voce, ma quando l’aveva rivisto su Facebook, spiando le foto in incognito, era sobbalzata. Chi l’avrebbe mai detto che il ficone del gruppo, quello più di successo, quello più carogna, il primo ad andare a New York, il primo ad avere la macchina, il primo a dirle “stiamo insieme ma non ti innamorare”, il primo a spezzarle il cuore, fosse diventato un tale rottame? Scarsi capelli, ciccia abbondante, una faccia piena di pelle.
Vabbé, pure lei non è che fosse tanto fotogenica, né uguale alle sue foto di gioventù.
Pensando al proprio tanto naso e alla scarsezza del mento a corredo, giustificò l’estetica del vecch…, o meglio uomo maturo, che aveva conosciuto da ragazzo. Dalle informazioni non risultava che fosse sposato e le scarse foto erano tutte di lui, in diverse stagioni. Né figli, né cani, né gatti, né canarini.
Decise di darli una chance, inviò la richiesta di amicizia e tirò un rigo sulla terza voce della lista.
Trasse dalla cantinetta dei vini una bottiglia particolare, quella bottiglia. Era l’ultima di sei che si era regalata alla fine del secolo scorso, dopo essersi licenziata. Gran parte del trattamento di fine rapporto era defluita in quella spesa pazza. Sei bottiglie di cui cinque consumate in diverse occasioni, con diverse persone.
L’ultima l’avrebbe bevuta da sola.
Con cura la stappò.
Annusò il tappo sentendosi ridicola. Guardò il suo naso e il suo mento allo specchio e si sorrise.
Versò un dito di vino nel bicchiere giusto, lo lasciò respirare e poi l’assaggiò.
Si sorrise di nuovo, per sicurezza ne versò altre due dita e ri-assaggiò.
Tutto bene, la giornata era adesso illuminata da un bel riverbero rosso granato con tenui sfumature aranciate.
Quarta riga di cancellazione.
Aprì la connessione al suo social di riferimento, lesse qualche commento di altri, si aggiornò a riguardo delle notizie interplanetarie, poi scrisse sulla sua bacheca:
“E allora la Russia?” mettendo a corredo il viso lupino ed appuntito di Putin. Qualcuno si affrettò a commentare, a discettere.
Per lei poteva bastare, intervenire e leggere le era già venuto a noia. Se solo qualche giorno prima la sua curiosità era fin troppo vorace, adesso le sembrava tutto così ripetitivo.
Finì le due dita di vino e ne versò dell’altro, il liquido dopo mezz’ora si stava già distendendo avvolto in un manto di velluto setoso.
Altro rigo, il quinto.
Prese dalla dispensa la farina, lo zucchero, la cioccolata amara, la scorza candita di arancia, l’uvetta, un limone biologico.
Aprì il frigorifero e tirò fuori la scodella con la ricotta avanzata da qualche giorno e le uova.
Da uno scaffale in basso estrasse la bilancia.
In un paio d’ore passate a pesare, impastare, mescolare, sbattere, grattugiare, infornare, sfornare, continuando ad assaggiare l’evoluzione del vino prezioso, fu in grado di tirare un rigo sulla sesta voce.
Mentre il dolce raffreddava si concesse un aperitivo composto da crostini, burro e alici. Poi un primo piatto con la minestra di lenticchie del venerdì precedente. Finì anche il cavolo nero strascicato e le due fette di polpettone mezze congelate di cui aveva dimenticato l’esistenza.
Ruttò e si accarezzò lo stomaco. Altre due dita di vino con la prima fetta di torta.
Ormai era pomeriggio, si accomodò davanti alla televisione con a destra la seconda e la terza fetta di torta e a sinistra il bicchiere mezzo pieno.
Dopo quattro ore e tre quarti di visione non stop decise che Jane Austen era meglio di Nora Ephron anche se di stretta misura, mentre Billy Wilder giocava un campionato per i fatti suoi.
Si alzò leggermente barcollante e controllò prima la lista prima e poi la bottiglia. Entrambe erano quasi in fondo.
Si fece coraggio guardandosi i polsi che non tremavano.
Prese il cellulare e digitò un numero scritto in fondo ad una vecchia rubrica cartacea.
Sobbalzò quando qualcuno rispose al terzo squillo, fino all’ultimo aveva sperato di no.
“Ehi, forse è il momento sbagliato, ma forse è invece quello giusto. Non credo che ti ricordi di quando mi hai mortificato a quella festa dicendo che indossavo un vestito di mia nonna riciclato e nemmeno quando seduta sulle ginocchia del ragazzo che sapevi quanto mi piacesse mi tiravi le noccioline ridendo. Probabilmente nel rincoglionimento senile anticipato che mi auguro tu abbia perché te lo meriti non ricordi quando dopo anni ci siamo riviste e la prima cosa che mi hai detto è stata ‘sei ingrassata’.
“Non ricordi di sicuro visto che ora che sei vecchia, sovrappeso, rugosa e sola quanto e più di me, mi hai cercato varie volte come fossi stata la mia migliore amica. Beh, vaffanculo te e tutta la tua idiozia, i tuoi vestiti à la page, i ragazzi che mi hai fregato, la tua casa di città e quella di montagna. Fottiti insieme ai tuoi viaggi esotici, la tua carriera mediocre e la tua cultura imparaticcia.
“Mi dispiace solo di aver passato tanti anni a pensarti con odio mentre invece avrei potuto annegarti subito nell’indifferenza. Ma non è mai troppo tardi per un vaffanculo pregresso. Nel caso non bastasse beccati anche un vaffanculo presente ed uno futuro. Ah, spero che tu abbia messo il vivavoce così qualche vicino – parenti e affetti non ne hai – può approfittarne per unirsi a me.”
Posò il cellulare che ancora vibrava.
Soddisfatta cancellò la penultima voce della lista, si versò quel che restava del vino. Il profumo libero e gioioso, meravigliosamente ricco di tutto il bene esistente al mondo, la circondò mentre si sedeva davanti al computer.
Il segnale di conferma per la richiesta di amicizia la distrasse appena dalla scrittura di un testo che iniziava così: “Al quinto giorno di autosegregazione…”