di Fabio Rizzari
Benedetto XVI e Francesco I sono indubbiamente due dei più noti pontefici presenti oggi nella nostra penisola, ma non sono gli unici. Nel mondo del vino esistono decine di pontefici. Sono in special modo attivi i pontefici prestazionali e quantitativi, quelli che si fanno forti del numero siderale di bottiglie stappate. Ritenendosi per questo al vertice di una classifica di merito, secondo l’equazione: più ho bevuto più conosco il vino. Sulla base di tale onorificenza autoattribuita emettono giudizi assoluti, vere e proprie bolle papali: “de disgustibus Bolgheresis vinis”, “Summa Cabernetum mediocritade”, “Versamentum barricatis rubrum in lavandinii”, e simili.
Io, che pure sono consapevole da anni dell’importanza di avere un robusto “archivio storico” di assaggi per poter scrivere (forse) qualcosa di sensato sul vino, ho invece dubbi crescenti man mano che invecchio.
Molto tempo fa, nel periodo dei miei disordinati studi musicologici, ebbi come insegnante di violoncello (cinque anni buttati nel tentativo di cavare un singolo suono dallo strumento) uno dei violoncellisti dell’Opera di Roma. Per questo mi capitò di conoscere il primo clarinetto della stessa orchestra. Un vero travet della musica: tecnicamente ineccepibile e freddo come una serata di gennaio a Danzica. Senso musicale, zero. Con la stessa pignoleria vuota avrebbe potuto fare l’assicuratore o l’istallatore di caldaie.
Una mia amica d’infanzia, che non aveva studiato musica un solo giorno, poteva invece canticchiare il soggetto di una fuga bachiana con un’ispirazione, una pronuncia, un senso musicale molto convincenti. Aveva capito quello che c’era da capire. Se avesse deciso di fare la clarinettista, oggi non avremmo un coglione in meno ma di sicuro una musicista vera in più.
Nel vino vale lo stesso, pari pari. So di macchine da guerra che hanno stappato, centellinato, provato e riprovato migliaia di bottiglie. Che sanno discettare con perentoria sicurezza su cru, annate, produttori. Ma che passano a lato di tutto ciò che un vino avrebbe eventualmente da comunicare.
Non hanno capito quello che c’è da capire.
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