di Shameless
Di recente, in un ristorante amico, si svolse una notevole conversazione fra tre avventori. Il luogo di ritrovo era decentrato rispetto al cuore della Capitale; un ambiente frequentato da apprezzatori dell’ottima cucina e dell’altrettanto ottima offerta di vini. Per i tre avventori non era una novità ritrovarsi lì, altre volte vi erano stati in compagnia più numerosa, ma quella tarda mattinata si sedettero alla tavola ovale solo in tre; una trinità per niente divina, bensì molto umana.
Erano arrivati separatamente e con mezzi diversi: dei piedi, una bicicletta elettrica e un’autovettura. Il sole feroce, così feroce da mordere senza baciare, non aveva risparmiato nessuno di loro. Cosicché, entrando nel luogo fresco e accogliente, tutti e tre si rallegrarono.
L’afa rimase fuori, in attesa di altre vittime.
Per sparigliare, le bottiglie in posizione verticale sulla tovaglia erano quattro, ma nessuno si lamentò di questo.
La conversazione si srotolò con la consueta vivacità, toccando argomenti non solo relativi al vino; persone, paesaggi, vacanze, musica e letteratura. Le bottiglie, ben più fresche dei commensali, furono stappate e assaggiate; si crearono brevi spazi di silenzio durante gli annusamenti e le successive sorsate, presto interrotti da commenti lapidari.
Il primo vino fu definito senza remissione “tecnico”, non per questo fu disprezzato; la salinità e la freschezza, più un timbro pungente caratteristico della varietà e della regione, lo promossero con dignità. L’avventore femmina respirò di sollievo, l’aveva portato lei già sapendo che avrebbe giocato in panchina.
Il terzo vino superò gli altri per integrità, struttura, ampiezza di aromi, complessità in bocca e tutto l’ambaradan descrittivo che i due avventori maschi non smisero di tirar fuori. L’avventore femmina taceva e assentiva.
Il quarto vino fu una delusione, invecchiato precocemente si presentò stanco e spento, con solo qualche barlume delle promesse giovanili. Ciò avviò uno scambio animato relativo alla scelta di piantare vitigni estranei in territori classici. La più animata fu l’avventore femmina che, partendo da Adamo ed Eva, computò il suo pensiero storico-socio-economico alla fine del quale tutti e tre tornarono al terzo vino, i due avventori maschi per riprendersi dall’ascolto di una storia che già sapevano a memoria e l’avventore femmina per riprendere fiato.
E il secondo vino?
Durante l’atto degustativo del medesimo, dopo la seconda sorsata l’avventore femmina gettò sulla tovaglia ancora immacolata il giudizio “C’è tutto, manca solo la follia.” Si espresse d’un fiato, senza aspettare cauta le impressioni dei compagni, non succedeva di frequente. Mentre così si pronunciava, si rese conto di aver utilizzato un termine esagerato e inusuale. Gli altri avventori assentirono come fosse un dato di fatto talmente ovvio che non necessitava altre parole e cominciarono a perdersi nei sentieri del residuo zuccherino, dell’acidità, della vendemmia calda e della necessità di tempi supplementari. Il pasto terminò troppo velocemente, come avviene per tutti i momenti di contentezza, i tre avventori si salutarono e separarono; il ristoratore sbarazzò il tavolo ingombro e si portò le bottiglie in cucina per studiare con calma quel che era rimasto dopo la contenuta libagione.
“Manca solo la follia”.
Queste quattro parole furono la causa scatenante di un dialogo mentale che ebbe luogo nelle ore successive alla degustazione fra l’avventore femmina e la propria esperienza.
L’afa imperiosa fu sicuramente complice degli sviluppi di tale conversazione secondaria, altrettanto significativa di quella primaria avvenuta nel locale amico.
“Perché me ne sono uscita così?”.
“Perché nessuno ha voluto approfondire?”.
“Perché la follia nel vino? Cosa significa?”.
Così continuò a rimuginare, fino a quando – stremata – non risolse il dilemma grazie alla Treccani:
“Follia … stato di alienazione… o leggera sconsideratezza…atto che porta a voler commettere imprese ritenute irrealizzabili.” Quei termini definirono il suo giudizio e lo misero in ordine.
La follia mancante in un vino per il resto completo, un vino niente affatto tecnico o convenzionale ma molto legato al luogo di origine e ben guidato dal suo umano interprete, è quel movimento tellurico quasi impercettibile che lo fa deviare da un’impostazione impeccabile; follia è un’energia che anima come un nervo scoperto la presenza aromatica del vino al naso, e la amplifica in bocca.
La realizzazione della follia si attua quando il risultato di tale deviazione resta memorabile e provoca un seppur minimo cambiamento.
Questa follia è in grado di essere percepita grazie all’esperienza di anni; ebbene sì, la follia come l’intendeva l’avventore femmina e anche i due avventori maschi [la somma dell’età anagrafica dei tre superava di gran lunga il secolo e mezzo], apparteneva a un vissuto maturo.
Perché se la gioventù è in grado di compiere atti coraggiosi e sventati senza curarsi delle conseguenze, la maturità è la sola età in grado di comprenderli in pieno e saperli spiegare.
Follia è stato scrivere di un avvenimento recente utilizzando il passato remoto e la terza persona, incurante dei parametri convenzionali del raccontare.
Follia è stato formulare questo post senza consultare Erasmo da Rotterdam.
Follia è tutt’ora compiacermi nel continuare a crescere evitando di invecchiare.
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