di Raffaella Guidi Federzoni
“Sti du’ cognomi nun te vengono dar cielo agratisse, ciai da meritalli.” Così si è espressa recentemente la mia cara coabitante alterata, sintetizzando nella sua coattagine che il privilegio di una nascita nei quartieri alti comporta la responsabilità di un comportamento adeguato. Ciò viene spesso disatteso – nel campicello vinoso come altrove –, ma quando invece si rivela è un regalo prezioso e consolatorio; vuol dire che la nobiltà non è gratuita, bensì essa “obbliga”.
Ho pensato a questo durante l’ultima Prowein, mentre mi intrattenevo con due persone di nobile lignaggio e comportamento; qui ne voglio raccontare.
Luca Sanjust di Teulada appartiene alla mia generazione, cresciuto come me a Roma in anni violenti ed elettrizzanti; anni in cui era possibile attraversare i confini invisibili delle classi sociali senza curarsi delle conseguenze; anni in cui la cultura ancora non era del tutto transitata nell’effimero e nel materialismo televisivo.
Beati noi.
Luca Sanjust è un artista che ha sposato un’artista, è anche il figlio di una mamma pioniera, con la quale per decenni ha lavorato in una zona meno classica della Toscana enoica, consolidando quella che oggi è un’azienda conosciutissima ovunque nel mondo, Petrolo.
Finita la parte evocativa e leggermente agiografica, passo al cuore dell’argomento e cioè: Luca Sanjust è un uomo spiritosissimo dall’apparente distacco verso gli aspetti materiali della vita e con un’effettiva serietà nel trattare le persone, i vini, la campagna e la comunità all’interno della quale risiede.
La prova recente è stata nell’assaggio dell’annata 2019 – un millesimo felice in quasi tutta la Toscana – nelle diverse tipologie di vino prodotte dall’azienda. I due sangiovese in purezza, uno “anforato” e l’altro classico, sono entrambi encomiabili come precisione di fattura e rispetto dell’anima toscana in termini di finezza ed eleganza. Il Cabernet Sauvignon, poche bottiglie vendute a caro prezzo, mi ha sorpreso per la complessità dei profumi e per l’equilibrio in bocca, mai eccessivo e pesante. Gli altri due rossi assaggiati hanno confermato lo stile accattivante e ben curato nei dettagli.
Il vino che però mi ha forzato la mano, nel senso di volerne scrivere, è l’unico bianco assaggiato, il Boggina B 2019 – 12%. Si tratta di Trebbiano al cento per cento, varietà presente nelle vigne di proprietà dagli anni Settanta; le uve e il vino ricevono un trattamento a cinque stelle, sin dalla raccolta e poi durante tutto il processo di vinificazione. Il risultato è un vino dal color oro di media intensità, con sfumature verdoline. Al naso presenta un ricco bouquet di fiori gialli (ginestra, fresia) che fanno strada all’albicocca, la susina e la scorza di limone grattugiata.
In bocca ha cenni di timidezza iniziale, è un vino recente che ha bisogno di tempo; la stoffa del puledro di razza è lì che scalpita grazie a un’ottima acidità come sostegno; dopo poco si apre nel medio palato con una soffice cremosità senza spigoli; sul finale torna il tocco agrumato. Un vino complesso e sfaccettato senza presunzione, esattamente come il suo nobile produttore.
Qui di seguito le note d’assaggio stringate relative agli altri vini, prese sul posto.
Boggina A 2019
100% sangiovese – 14,5%
Colore: rosso rubino di media brillantezza
Naso: fine e speziato, selvatico, pepe rosa, fruttini rossi
Bocca: vivace, pungente, lunga
Boggina Classico
100% sangiovese – 14%
Colore: rosso concentrato intenso
Naso: ciliegia matura, prugna, finocchietto selvatico, lampone, finissimo, elegante
Bocca: scorrevole, tannini morbidi ma non cedevoli, tonico. Torna una leggera speziatura, pieno e strutturato, più complesso del corrispettivo anforato
Torrione 2019
sangiovese 80%, merlot al massimo 20% – 13.5 %
Colore: rosso rubino brillante, concentrato
Naso: speziato, frutta rossa matura, erba selvatica, angelica, elicriso
Bocca: scorrevole, snello, meno impegnativo e non lunghissimo
Galatrona 2019
merlot 100% – 14%
Colore: rosso intenso, molto concentrato, brillante, un po’ fosco
Naso: amarena matura, prugna, caffè, pepe nero, erbe medicinali
Bocca: pungente, scorrevole, limitata, torna il frutto
Campo lusso 2019
100% cabernet sauvignon (1/2 ettaro, 500 bt)
Colore: intenso, molto brillante
Naso: frutta rossa e nera, cioccolata, salvia, alloro, rosa canina
Bocca: pungente, speziata, struttura e lunghezza
Galatrona 2007 in magnum (bonus track)
Colore: rosso intenso, fosco
Naso: pelliccia bagnata, anguria, ossidato
Bocca: molto vispa e vivace, amarena sotto spirito
Poco più in là, nello stesso padiglione tutto dedicato alle produzioni italiane, mi sono fermata di fronte ad Alessandrojacopo Boncompagni Ludovisi. Il Principe possiede un nome e un cognome persino più lunghi dei miei, un albero genealogico più fronzuto della foresta amazzonica e un modo di porgersi spontaneo ed elegante, raro a trovarsi nel milieu romano palazzinaro e svippone. Ne ho avuto la prova quando sono stata accolta con estrema gentilezza, pur essendo una perfetta sconosciuta.
La Tenuta di Fiorano ha una storia importante e avventurosa, rimasta per anni impolverata, lasciata in disparte mentre altre realtà cannibalizzavano l’attenzione del mondo vinoso. Come tutte le storie autentiche si è poi rimessa in sesto indossando panni nuovi, ma mantenendo il corpo nobile di un’impresa eccentrica e speciale; non sono forse questi i parametri che fanno la differenza?
La proprietà è situata al sud di Roma, un’isola naturale circondata da vestigia antiche e dall’innaturalità di sobborghi tristi e di un aeroporto. Il predecessore del Principe Alessandrojacopo è stato sicuramente eccentrico e avventuroso nel piantare vigne con vitigni allora considerati strampalati, ma anche avveduto nel chiamare persone altamente qualificate per occuparsi della vinificazione e affinamento di vini dirompenti.
Il risultato fu leggenda da quasi subito. Poi il mondo si trasformò in qualcosa di meno leggendario e più terra-terra.
Al di là del mito di un tempo, dopo il silenzio di anni, adesso la nuova generazione continua a darsi da fare per mantenere la peculiarità e il valore di una produzione di classe, senza arroganti sbandieramenti.
Nessun fuoco d’artificio, solo quattro vini dall’etichetta classica senza strafare. Due i vini d’ingresso – uno bianco e uno rosso – e due i vini più impegnativi – uno bianco e uno rosso -. Facilissimo prendere appunti e ricordarsi di tutto, compreso del piacere di un racconto pieno d’entusiasmo e di consapevolezza della propria responsabilità.
Il vino “principe” – è il caso di ribatterlo – si è rivelato il loro rosso Fiorano 2015. Un vino che, come pochi altri, ha ridimensionato la mia diffidenza relativa al classico uvaggio bordolese trapiantato in Italia.
Trattasi di più o meno due terzi di Cabernet Sauvignon e un terzo di Merlot da mescolare senza agitare troppo, 13,5%; il colore è tipico della categoria: rosso rubino intenso altrimenti detto sangue di piccione; il bouquet si rivela una collezione di raffinata cioccolata amara-scura-scurissima, frutta nera matura dall’amarena al mirtillo passando per la prugna. Quel che si discosta dalla norma e ne fa un fuoriclasse è il sorso: delizioso, ricco e stratificato.
La Tenuta di Fiorano non è solo un latifondo di quella che fu l’aristocrazia papalina, alla periferia sud di Roma, è soprattutto un Grand Cru italico che merita rispetto e attenzione.
Ecco le sintetiche note relative all’assaggio degli altri tre vini:
Fioranello 2020
viognier-grechetto
Solo acciaio – 13%
Colore: medio giallo
Naso: corretto
Bocca: pungente, speziata; migliore del naso
Fiorano Bianco 2017
viogner – grechetto
1 anno in botti grandi – 14%
Colore: giallo pallido, sfumature verdoline
Naso: molto aromatico, biancospino, gesso, prugne bianche
Bocca: giovane, scattante, lungo
Fioranello 2018
cabernet sauvignon 100%
1 anno tonneaux – 13%
Colore: rosso mediamente scuro, brillante
Naso: inaspettato, ma tipicissimo, frutta rossa fresca, frutta bianca
Bocca: scorrevole, sottile
Non c’è altro da aggiungere, se non questo:
“La stirpe non fa le singulari persone nobili,
ma le singulari persone fanno nobile la stirpe”
Dante Alighieri – Convivio.
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