di Giovanni Bietti
È stato scritto più volte che prima di essere unita politicamente l’Italia era già stata unita musicalmente attraverso il teatro d’opera. Nulla di più vero: basta leggere il repertorio dei principali teatri attivi nella prima metà dell’Ottocento (la Scala a Milano, la Fenice a Venezia, il San Carlo a Napoli, per menzionare solo i tre più celebri; ma si potrebbero aggiungere i teatri romani come Valle, Argentina o lo scomparso Teatro Apollo, e poi Bologna, Firenze, Genova e molti altri ancora) per rendersi conto di come le opere circolassero attraverso l’intera penisola oltrepassando continuamente i confini tra i vari stati. Il teatro d’opera è insomma un fenomeno culturale tipicamente, peculiarmente italiano; e non è certo un caso che la nascita di un’”opera nazionale” nei vari paesi d’Europa sia sempre avvenuta per opporsi all’ubiquo teatro italiano: Schumann, ad esempio, dichiarava di dedicare una quotidiana preghiera alla nascita dell’opera tedesca, e indirizzava strali velenosi alla “leggerezza” e alle fioriture belcantistiche dei musicisti italiani, contrapposte alla solidità e alla monumentalità tedesca