di Daniela Mugelli
Ci sono atteggiamenti, momenti, situazioni, strani fenomeni che osservo in questo mondo enoico che mi fanno sentire ciò che in realtà sono: un ali-eno.
La misura la dà il fatto che sono venti minuti che mi dico:
finiscono le idee.
Finiscono i giorni.
Finiscono gli amori.
Perché non dovrebbero finire anche i giornalisti?
E infatti finiscono. Perché una valanga di pr li seppellirà. Tanto che chi si occupa di comunicazione alla fine mi pare si ritrovi a mandare spesso comunicati stampa e inviti a chi fa lo stesso mestiere.
La chiusura di giornali (o di editori che pagano adeguatamente, verrebbe da pensare) ha di sicuro sollecitato l’allegra migrazione dall’informazione alla comunicazione. E la promiscuità tra le due cose. Bisogna pur mangiare, è ovvio, e l’italiano tiene sempre famiglia. Il problema dunque non è quello di scrivere di un vino o di un’azienda. Che può essere bella o brutta, interessante o insulsa. Il problema è capire perché un giornalista che non fa il giornalista dovrebbe occuparsene. Se tutti i giornalisti si bombardano a vicenda di comunicati, chi e perché dovrebbe pubblicarli o leggerli? Così sbocciano e fioriscono i blog in cui ciascuno recensisce i propri clienti o potenziali tali. Vetrine espositive fatte da, per e su il proprio carnet clienti. Autoreferenziali. Anacronistiche. Noiose. Sulla qualità della scritttura, poi, spesso meglio stendere un velo pietoso.
In un mondo United States of Marketing, velinato, pettinato, ritratto, fotografato, accomodato, perché si dovrebbero leggere giornali e guardare siti internet o trasmissioni TV se è tutto un’unica grande continua marchetta? Non esisterà più soluzione di continuità tra un articolo e un redazionale, tra i consigli per gli acquisti e un pezzo di informazione. E allora benvenuto zapping libero, anche nella lettura.