di Daniela Mugelli
Lavorare nella comunicazione è un test durissimo per chi si crede tollerante e democratico: mi costringe ogni volta a capire che io dell’umanità non so niente, non ho capito niente, non ho visto niente.
Da che mondo è mondo “Invitare è lecito, rispondere è cortesia”. Ma nella società autoreferenziale, autoassolutoria e autistica di oggi, nemmeno la lusinga del presenzialismo salva il giovane e il meno giovane giornalista dalla sinecura della maleducazione. E neppure la scorciatoia del web contribuisce a dissiparla. Anzi.
Fuor di metafora: ma se io ti invito (a cena, a un aperitivo, a un evento, a una conferenza stampa), tu mi vorrai rispondere? Se non per educazione, per savoir faire. O per opportunismo, almeno. E invece no.
Tu mandi un invito personale (tempo tecnologico di compilazione e di invio: un minuto) e per giorni aspetti speranzosa un “cenno di risposta” (tempo di compilazione ed invio: 10 secondi). Mica voglio dire che uno debba aspergere la carta da lettere di profumo, come si faceva una volta, impugnare una penna d’oca, intingerla nell’inchiostro e vergare un’ampollosa risposta da affidare a un messaggero a cavallo. Basterebbe un molto più pedestre sms o un’email sbrigativa. Ma una risposta, vivaddio: sì, no, manco morto,
non posso perché vado ad arruolarmi nella Legione Straniera?
Macchè, nulla. Se poi azzardi una telefonata l’atteggiamento dell’invitato diventa incerto tra l’indulgenza e l’indignazione come si trovasse a che fare con qualcosa di vagamente simile all’accattonaggio molesto.
Però, poi, sorpresa: il tamarro non rispondente si incupisce come un diavolo se non lo inviti. Sì: ritiene superfluo rispondere, ma pretende di essere invitato. In quanto ciò titilla il suo orgoglio, alimenta il suo amor proprio.
Per il giornalista cafone l’importante non è “esserci”, come ingenuamente si pensava in un tempo nemmeno troppo lontano, ma ricevere l’invito. È quello che significa che sei qualcuno.
Perché accumularli ancorché inevasi, gli inviti, dà una soddisfazione sottile. Essere poi nella posizione di chi, ben informato, riesce a sovraintedere e a pontificare sul flusso dei medesimi (lui è stato invitato, lei no, ma perché il tizio no?, possibile che la tizia sì?) dà quasi un solletico di onnipotenza.
Lunga vita a chi conserva sempre e in ogni circostanza traccia di un benedetto stile.