Docta ignorantia

profilo socratico

di Giancarlo Marino

Saussilles è un termine che deriva dal francese antico “saus”, saule (salice) in francese moderno. Identifica una zona umida per la vicinanza della fonte del Lulunne, al confine tra Pommard e Beaune, un tempo ricca di piante di salice.

Alzi la mano chi ha mai sentito parlare del Pommard 1er cru Les Saussilles, e ancora prima la alzi che l’ha mai bevuto. Quel qualcuno, diciamolo subito, non sarò certamente io. Non sono neanche sicuro di essermi mai accorto della sua esistenza nelle mille e mille volte che ho guardato la cartina di Pommard. E dire che è interamente circondato da vigne della mia predilezione: Pezerolles e Petits Epenots a Pommard, Clos des Mouches a Beaune.

Piccolissimo climat, meno di quattro ettari, a forma di salsicciotto spalmato lungo il confine con Beaune. I produttori che qui hanno vigne si contano sulle dita di una mano, almeno quelli che ne evidenziano il lieu dit in etichetta e di cui ho trovato traccia dopo una ricerca, qualche secondo fa (San Google fa davvero miracoli). Questo potrebbe giustificare, almeno in parte, il fatto che anche un maniaco della Borgogna come me abbia simili lacune.
Ma non era di questo che volevo parlare.

Pochi giorni fa ero in visita da un produttore di Volnay (Domaine Bernard & Thierry Glantenay, questo il nome esatto). Il giovane Thierry ci aveva accolto con grande gentilezza e disponibilità. La sua cantina, tra l’altro, si trova nella parte alta di Volnay e dal terrazzo dell’abitazione si domina tutto il pendio, dalla vigna di Clos des Ducs, noto monopole dell’altrettanto noto D’Angerville, e fin giù, verso la statale. Una visuale privilegiata, e diversa da quella solita, dal basso, per capire molte cose di queste vigne, in particolare quando hai la fortuna di imbatterti in un vigneron come Thierry, cicerone colto e appassionato.

In cantina abbiamo potuto provare gran parte della gamma dei vini, più o meno equamente divisi tra Volnay e Pommard. Sono certo che di Thierry Glantenay e dei suoi vini si sentirà parlare molto, e se nessuno lo farà lo farò io, perché questa sarà una delle mie tappe fisse nei miei prossimi viaggi, insieme a quelle da altri tre o quattro produttori di Volnay. Ma di questi altri parleremo un’altra volta.

Tra una meraviglia e l’altra (non un vino che si sia rivelato meno che eccellente) ad un certo punto spunta il Pommard 1er cru Les Saucilles. Mi cospargo il capo di cenere, oggi, nel pensare che, accingendomi all’assaggio, la mia predisposizione era quella di colui che crede di saperla lunga e che, quindi, “sa bene” di non doversi aspettare troppo da un cru praticamente sconosciuto.

Il vino era assolutamente fantastico. Ricordava solo in parte la speziatura, l’esplosività e l’esuberanza del Pezerolles, o la sottile e nobile eleganza ammantata di luce cristallina di Petits Epenots, ancor meno la rude balzanza di Clos des Mouches. Piuttosto un mix dell’uno e degli altri, ma con l’accento sui richiami della terra dei migliori cru di Beaune. Ecco, se proprio devo tirare fuori dai cassetti della memoria un richiamo di altri climat limitrofi mi scopro a pensare a qualche versione del Beaune 1er cru Vignes Franches di quell’incredibile vigneron che è stato Serge Germain, allo Château de Chorey. Vini che iniziano la loro vita in bottiglia in assoluto silenzio, senza effetti speciali, e che progrediscono lentamente ma inesorabilmente in bottiglia, definendo con il passare degli anni il proprio carattere, tratto dopo tratto, per poi mostrarsi nella loro reale essenza solo a distanza di molti anni. Vini che urlano l’indissolubile, ancestrale legame tra la terra e il vigneron, fino a diventare un tutt’uno.

Rileggo il foglio dei miei appunti. Al fianco di ogni vino, tre o quattro parole cercano di fissarne le sensazioni, le impressioni. Accanto a Saucilles non c’è scritto nulla, solo lo stilema che uso qualche volta, quando il cuore prende il sopravvento sulla ragione, tre cuoricini.

Ancora una volta devo dare ragione a Socrate. Nel mio percorso di appassionato e studioso della Borgogna al massimo posso sperare nella docta ignorantia, la consapevolezza di sapere sempre meno pur sapendone sempre di più.

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