di Faro Izbaziri
Quanto è ingenuo, o amici, sperare di poter estromettere le gerarchie dalla vita degli umani. Quanto è bello, e nobile, e ingenuo credere che non soltanto li oggetti, ma anco li esseri viventi possano sfuggire alla bilancia che tutto misura.
Vedere, prima ancora che pensare, è un atto di misura e valutazione comparativa. Anche solo vedere! Capite? Noi si guarda un vaso di fiori e nel medesimo istante lo si compara per forma, grandezza, proporzioni, colori con i vasi di fiori già visti nel passato. E gli si dà, più o meno inconsciamente (mi garberebbe scrivere di più “incosciamente”, per via del richiamo alle cosce) una sua collocazione gerarchica: più bello, meno bello, più sgraziato, più aggraziato, più pacchiano, più elegante.
Tutta la vita è interpretazione. Ogni interpretazione stabilisce un quadro di valori. Inevitabilmente. Inevitabilmente. Non afferrare questo significa non afferrare che il disco accecante così ripetutamente, ossessivamente presente nel cielo sia il cosiddetto “sole”.
Siete convinti che non esista un “più” e un “meno”? Un “meglio” e un “peggio”? Bene, d’accordo. Come volete. I filosafi lo chiamano “problema dei minori”. Allora una sonata di Mozart non è migliore di una sonata di Rino Scannapieco, un dipinto di Caravaggio non è migliore di una crosta di mio zio, un piatto di vera pasta e fagioli non è migliore del panino chimico di un fast food. E, per arrivare al liquido di Bacco, un Pommard di Voillot non è migliore di un rosso in bottiglioni da cinque litri fatto con i raspi e qualche chicco d’uva superstite.
Perciò, se siete convinti di tutto questo, rimanete anche convinti che si possa parlare – dico anche solo parlare – di un vino senza che questo non lo metta in relazione gerachica con altri vini, più o meno riusciti, più o meno buoni.
Insomma, o amici, ancora non ci arrivate? aprite li occhi, òrsu, come diceva Totò in Miseria e Nobiltà.
Òrsu, aprite gli occhi.