di Fabio Rizzari
Collocandolo inattaccabilmente nella sezione “oldies but oldies”, pubblico qualche frammento di un post espressico del 2009 dedicato a Madame Leflaive, sublime creatrice di vini dipartita ieri verso le vigne celesti: che, a giudicare dal lascito dei suoi vini, non saranno poi molto più grandi delle sue vigne terrestri.
Curiosa degustazione di vini gallici guidata nientemeno che da Anne-Claude Leflaive: cioè una delle due o tre più grandi produttrici di vino bianco della nostra galassia (detta Via Lattea, tipo a spirale barrata, classe SBbc, magnitudine assoluta -20,9, centro apparente nella costellazione del Sagittario, etc). Sarei tentato di scrivere una delle due o tre più grandi produttrici di vino bianco dell’universo, ma è meglio rimanere più prudentemente in ambito galattico.
A proposito, mai provato un vino del Domaine Leflaive del 1989? Io sì, grazie alla generosità dell’esimio e preparatissimo collega nipponico Isao Miyajima: il Bienvenues-Bâtard-Montrachet 1989 lascia non soltanto senza parole, ma anche senza fiato: dopo il primo sorso ho perso conoscenza, per una sorta di sindrome di Stendhal, e sono rinvenuto quattro ore dopo al Pronto Soccorso del San Camillo. Per un vino così sarei tentato di giustificare l’omicidio. Va bene, a parte le divagazioni: perché curiosa, come degustazione? Perché, a dispetto dell’appassionata perorazione delle virtù della biodinamica, Madame Leflaive ha dichiarato che nella sua opinione “non è possibile distinguere in assaggio un grande vino prodotto da tecniche biodinamiche da uno da vigne trattate con prodotti di sintesi”.
Su quest’ultimo punto devo dissentire con l’illustrissima defunta. Un suo grand cru e anche un suo premier cru e anche – non di rado – un suo village hanno una radianza abbacinante, che fa sembrare una fiammella esitante il più riuscito dei bianchi convenzionali.
Beh, buon viaggio. Noi restiamo qui ad azzuffarci per rimediare una tua bottiglia.
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