La Dottrina Singolare o l’Arte Antica di Cucinar Scarti Ipogei nei Sotterranei in Vaticano*

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di Gae Saccoccio

“Non c’è cucina povera, c’è povertà.” K. V. D. Strozzo

Era ora, ed è subito trionfo mondiale, da troppi anni di vane attese e dopo avventurose vicende editoriali esce finalmente l’opera del maestro intrugliatore Kazzimir Van Der Strozzo, favoloso economo di cucina allo IORS. La DS è un’opera molto più che singolare che con toni da olocausto è stata subito definita dalla signorina Vaginetta van Der Strozzo, prozia squilibrata dell’autore: “…un Taj Mahal di carta, inchiostro e obbrobrio”. Era ora dunque, ma solo a partire d’adesso possiamo affermalo con una certa veritiera approssimazione che il libro c’è ma non esiste, ed è appunto proprio questo libro qua che sto sfogliando da 76 ore filate da pag. 1 a pag. 20090.

Imprescindibile, il ricettario ritrovato del Van Der Strozzo, ritrovato da un bamboccio in fasce dentro al solito cassonetto nei pressi di Strozzacapponi alla periferia di Perugia. N.B. [Seppure lo studioso di cose ragguardevoli, il Colero Spetazzoni della Regia Università di Secondigliano sezione di Poggioreale, ritenga: “senza ombra alcuna di dubbio” il ritrovamento essere avvenuto sì in provincia di Perugia ma a Bastardo però, sotto a quel tombino sempre intasato della ridente frazione di Giano dell’Umbria].

Soltanto l’epopea editoriale del libro – libro di cui tutti parlano ma che in verità nessuno ha mai letto e tantomeno ce ne fosse più di qualcuno che sapesse con sicurezza se e chi l’ha scritto per davvero – quest’epica culinaria dei nostri tempi brutti assai, meriterebbe fosse narrata da un Omero punkabbestia dei sobborghi di Tripoli strafatto per via endovenosa di metanfetamine, latte a lunga conservazione BIO, varechina (a dosi ben miscelate).

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Il ricettario del Van Der Strozzo esce dunque per i tipi del Nibbio Sgrullo (Castelpizzuto, Molise) e proprio in quella pregevole collana “I Pappagorgi” che vanta nel suo forziere pubblicazioni oramai di diffusione planetaria – non starò certo qui a ricordarle tutte e ottocentocinquantanovemila – ma valga a titolo d’esempio uno svelto florilegio di alcuni tra i titoli più significativi, astri fulgenti nella galassia Gutenberg della carta stampata (stampata con sputazza, fiele e zampe di gnu):

–   Tiramisù di lumache non spurgate;

–  Asfaltare sogni altrui e principesse anemiche in Mozambico;

–  Mungitore di tori d’Appalachia;

–  Seminai broccoletti in tutù;

–  Panzanelle d’odio nero;

–  Puttanella, tu!;

–  Il romano osservato, l’ambrosiano calvo, il banco riciclato, il pidduista contoterzista;

–  Sgrullate sull’altopiano;

–  Pappe e pippe per papponi con pepe in grumi;

–  Glottologia romanza in Paraguay;

–  Lasagnette di marzapane. Ma la P2 è: Piscio in Due?;

–  Vincere al Gratta-Vinci nel Caucaso e crepare il giorno appresso di tosse asinina;

–  Mai più senza foie-gras, trallalero e mandolino;

–  Coktails di scampi a Addis Abeba ma soprattutto come non ricordare quel best-seller intraducibile, a parte in swahili (o kiswahili) forse, intitolato:

–  Ho Copulato un Armadillo? (di Anonimo saudita) libro fondamentale all’evoluzione subumana intellettuale che due anni e mezzo fa hanno (hanno chi?) – a ragion veduta – spedito in una sonda spaziale affianco alle Goldberg Variatinionen nell’interpretazione di Glenn Gould (versione del ’55), oltre alle Rime del Burchiello, a un uovo alla kok, un ago spezzato privo di cruna (?), una foto di Pippo Sabaudo che succhia un Labrador, un peletto pubico d’Anna Karina, 3 chiodi arrugginiti, un preservativo rotto, una penna Bic rossa senza più inchiostro, un vibratore logoro d’avorio appartenuto alla nonna materna di Sandra Venerea di Milo (starlette del muto arcinota col nome d’arte: Dip Tröt), una mollica del pandoro Baculi con larva di bacarozzo inclusa e infine l’opera omnia di Hegel riscritta nel dialetto d’Ostuni**.

Ci sarà senz’altro qualche detrattore alla macchia del libro che va subito stanato, isolato, decapitato seduta stante su pubblica piazza a colpi di lamette da barba infette di salmonella. Ma insomma, penso di non sbagliare affatto nell’affermare che siamo tutti concordi fin da subito di quanto questo aureo ricettario debba essere salutato nell’imminenza quale Inno alla Gioia (An die Freude) urlato a squarciagola profonda e accolto a furor di popolo come un eccezionale documento d’epoca che abbraccia quasi il mezzo secolo ormai, dagl’anni del Boom economico fin quasi ai nostri grami giorni prolasso-rettali. Ultima ricetta nel libro – la ricetta num. 155.000 – è datata 31 Febbraio 2001: Ghiozzi negretti in salmì dei mari sempre avvelenati di Taranto.

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La Dottrina Singolare o l’Arte Antica di Cucinar Scarti Ipogei nei Sotterranei in Vaticano si attesta dunque come illustrazione analitica teorico-pratica che va ad arricchire la bibliografia già sostanziosa di suo dell’infida storia patria – o matria? – della cucina italiana. Non soltanto trascurabile curiosità per bibliofili, cuochi mentecatti, scalchisti tronfi, sciacalli ai fornelli, trincianti futili, bruciapadelle onanisti, farabutti in parannanza avvezzi all’Opera Nova del Celebrino (Venezia 1526), ma anche soprattutto la DS vale come dossier di psicopatologia criminal-giuridica, manuale socioeconomico d’anti-zooprofilassi che andrebbe infatti studiato oggi sia come memoria lombrosiana privata dell’autore che in quanto testo pubblico da cui – anche già ad una prima sommaria leggiucchiata delle oltre ventimila paginette – se ne possono ricavare miriadi d’informazioni utilissime interpretate in controluce alla fiamma ossidrica perpetua del tenebroso IORS (Istituto d’Ottusità e Ripopolazione degli Stolti).

Il libro, che poi non è uno proprio per niente ma accorpa a sé un paio di centinaia di volumi e tomi, intesse un reticolato vitale di ragguagli e indicazioni gastro-economiche gastro-sociali gastro-politiche gastro- antropologiche gastro-enteriche gastro-architettoniche gastro-massoniche gastro-alto-basso-finanziarie gastro-etiliche gastro-monetarie e di gastro-costume… e poi gastrobasta… ecchegastro!

Per evitare l’abuso indebito di questo spaziuccio recensorio, basti qui solo ricordare che “IL PATACCONE” (questa, a parere di chi scribacchia, l’ingiusta definizione del Lammerdier Vancú-Pijancú primo ed unico lettore della recensione al libro in codice morse nel BGM^), che “il pataccone” si compone appunto di centocinquantacinquemila fittissime ricette che definiscono lo scibile enciclopedico del Van Der Strozzo a testimonianza immortale di tutto quel suo ribollente microcosmo d’appartenenza sub-vaticana notturna dedita all’impasto antropofago, al riciclo, al reimpasto e alla trasformazione degli occulti scarti alimentari in miracoloso cibo di nutraceutica-intrugliona luce filosofale.
Eccone a seguire un excerpta, un lieve amuse-bouche di ricette, una listarella minima d’illuminanti esempi con indicazione della pagina per orientarsi nel ginepraio di questo vertiginosissimo, vomitevolesco, cancerogeno, coprofagico capolavoro pre-post-infra-alimentare destinato a diventare un caposaldo indiscutibile – e chi ne discute niente? – della SIPP (Spazzaletteratura Intergalattica Postumana cioè Postuma), sigla posteriore a qualsiasi forma di vita microrganica, pure la più infima, infame, infausta vitarella che sia data anche solo d’immaginare:

– Sciroppare deiezioni e catarri (pag. 8996)

– Andar per porcini in latrina al buio (pag.12323)

– Muchi e muschi (pag. 18982)

– Pinzimonio alla chissenestrafotte (pag. 490)

– Vivisezionaggio d’ale di mosca leccamerdiera (pag. 4)

– Salsicciotti al guano dei pipistrelli macerati in polveri sottili (pag.764)

– Sputacchi fermentativi e rosolii di lacrimeamare (pag. 33)

– Catturar scuregge in frittura (pag. 9008)

– Consommè alla Cardinalizia “rottinculla” con ovetti della civetta guercia (pag. 568)

– Carbonara con lerciume sotto l’unghie e sudaticcio d’ebrea ben poco vergine (pag. 763)

– Offelle di Cacalupo a scortico in punta di mannaia (pag. 234)

– Fumetto con parassiti di colibrì e succo di zanzare belle enfie di sangue tiepido mammiferigno (pag. 15390)

– Praline deliziose di fintociocco all’uso sferoidale degli stercorari (pag. 3012)

– Zuppetta “moelleux” alla spappolaminchia (pag. 4832)

– Ravanelli e patate con l’osso autogerminati nel bidet (pag. 1192)

– Scapece d’ostie secche in aceto d’aloe vera e foglie di pannocchia (pag.17909)

– Castagnaccio con stille di caffè freddo al cianuro e leggerissimi spruzzi di smegma (pag. 88)

– Quinto quarto del chierichetto subnormale in crosta di pidocchietti confit (pag. 7894)

– Acque stagne brulè aromatizzate al cloroformio e un pizzico di depositi ombelicali in ammollo (pag.5)

La voce più intimamente sincera del Van Der Strozzo – che sembrerebbe morto ad maiorem Dei gloriam e in perpetuo appagamento di tutti i sensi a causa di certe complicazioni dovute a dissenteria profusa vibrionica acidosa sifilitico diarreesca – emerge cristallina anche se esausta in una noterella a margine solamente alla fine dell’ultimo tomo del LXXXIII vol. (siamo a pag. 20090). Quindi, a chiarimento definitivo d’una estenuante disputatio ultratrentennale su un tema inesauribile contro il suo arcinemico necroforo gastro-intestinale di sempre, il polemicissimo Cavalcazzi Pirluto Fuffio Svacca riguardo alla scottante questione dei Pasticciotti bui al niente-nulla, così sentenziava infine – significativamente in grassetto – il nostro e forse anche un po’ vostro, se permettete, Kazzimir Van Der Strozzo:

{“Ora m’hai proprio rotto il cazzo!“}

*La recensione è apparsa originariamente in codice morse nel BGM“Bulletin Gastroentérologique Merdesque” (année 2016, Vol. XCIX La Rochelle) qui per la prima volta trascritta e presentata in ADA (Accademia Degli Alterati) per gentile concessione del Nibbio Sgrullo Editore, grazie alle intercessioni surrettizie dell’insigne colitologo Amintore Eustacchio Cacchella.

**Lasciamo alla fertile fantasia del lettore d’immaginarsi lo sgomento dell’organismo vivente eventuale intercettato nello spazio profondo che s’imbatta in questa sonda volante piena di tutto quel ben di Dio in essa contenuto.

 

 

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