di Raffaella Guidi Federzoni
La penna scricchiola sulla pagina bianca, qualcuno dietro a me ha di nuovo eruttato la sentenza lapidaria: il novanta per cento dei consumatori non capisce un cazzo di vino.
Questo tipo di eruzione è piuttosto frequente, cambia solo la percentuale, che non scende mai al di sotto del novanta ma può salire fino al novantanove.
I sentenziatori sono in maggioranza produttori feriti nell’onore, genitori offesi da qualche maestra che fa loro presente come il loro erede non sia proprio il primo della classe. Seguono di stretta misura, direi una minoranza rilevante, i comunicatori dell’enofighettume, i quali fanno di una passione giovanile devastante lo scopo della loro vita adulta e quel che piace a loro e agli altri adepti è legge, o dentro o fuori.
Buoni terzi arrivano i sommelier, i quali sono cauti nell’esprimere certe opinioni dovendo servire consumatori paganti, quindi si limitano alla mandata affanculo mentale e a bofonchiare qualcosa alla moglie prima di abbattersi sul guanciale a notte fonda.
Infine ci sono i comuni mortali, gli sherpa del mestiere, quelli che considerano con distacco il resto dell’umanità enoicamente interessante, avendoci a che fare tutti i giorni. Cioè i venditori in senso lato, rappresentanti, distributori, battitori di marciapiedi e bussatori di porte. Tipo Me.
I Tipo Me dopo anni di esperienza sul campo hanno in realtà maturato un altro genere di considerazione percentualistica che ribalta quella comune e si può sintetizzare brutalmente in:
il novanta per cento dei produttori di vino non capisce un cazzo dei consumatori.
Tale sostanziosa maggioranza si può a sua volta suddividere in due categorie:
- Quelli che si fanno influenzare fin troppo da chi gli fa balenare nuove tendenze di consumo e di conseguenza sottopongono la propria produzione enologica a delle montagne russe e salti quadrupli carpiati all’indietro. Tutto pur di catturare qualche consenso da parte di chi comunque non capisce un cazzo di vino.
- Quelli che rimangono graniticamente convinti che i loro vini siano il meglio del meglio e mai difettati, sbilanciati, sgradevoli, eccessivamente costosi, chiusi, incomprensibili, anonimi, sfocati. Loro lì fanno così e se non ti piacciono il problema è tuo non loro. Perché tu non capisci un cazzo di vino.
Se fossi in grado di disegnare grafici ne potrei produrre uno che trova un punto d’incontro fra le due linee di percentuali: quella nera che riporta il giudizio dei produttori e quella rossa che riporta la scelta dei consumatori.
Il punto d’incontro è rappresentato dai Tipo Me.
Fortunatamente sono negata nel disegno e quindi non infierisco sul tenace lettore che mi sta seguendo.
Mi limito a suggerire una maggiore benevolenza e comprensione nei confronti di chi si interessa al nostro vino, paga un biglietto per venirlo a degustare e si accalca paziente in attesa che gliene venga servita una goccia o due. Tutto questo in ambienti spesso scomodi e sbagliati per eseguire un’analisi organolettica approfondita e ponderata. Questa vittim… ehm, consumatore infaticabile, è spesso qualcuno che ci ha già scelto, conosce almeno di nome i nostri vini e le eventuali denominazioni o territori che rappresentano, vuole saperne di più. Un qualcuno che è nostro cliente o che lo può diventare. Va solo indirizzato ed informato senza presunzione.
La percentuale di tali soggetti si potrebbe quantificare in un buon novanta percento. Abbiamone cura invece di disprezzarli.
E il restante dieci per cento?
“Mmmhh, questo vino è troppo acido.”
“Mmmhh, questo vino è troppo secco.”
“Mmmhh, questo vino è troppo dolce.”
“Questo vino ha un odore strano di frutta, ma non di uva, perché?.”
“Mmmhh, questo vino è troppo leggero.”
“Mmmhh, questo vino è troppo pesante.”
(stesso identico vino, da stessa bottiglia, lo stesso giorno, durante la stessa manifestazione, nello stesso spazio, con la stessa temperatura, negli stessi sessanta minuti).
Ed ora il gran finale di quella tipologia che potrei quantificare come lo zero virgola uno per cento del consumatore:
“Lei lo sa che se vendete il vostro Barolo qui in XXXX è anche merito mio?”
“Ehm, le sono grata, ma questo è Brunello.”
“Ah già, siì Brunello. Correva l’anno 19XX ed Io bla, bla, bla bla bla bla.”
“Veramente una bella storia.”
“Riconoscerei la vostra etichetta fra mille. Comunque mi piace molto anche il vostro Ripasso.”
“Forse vuole dire Rosso di Montalcino.”
“Sì certo, quello. Buon lavoro.”
“Buona continuazione a lei.”
Calano contemporaneamente il sipario, le palpebre dello smaliziato consumatore e la malolattica esistenziale della sottoscritta.