Obtorto collo

di Shameless

Scrivo dopo un combattuto dibattito intimo con DuCognomi. La mia concubina alterata recentemente ha proclamato urbi et orbi – cioè sulla più diffusa piattaforma social per gli over quaranta – che la vita è troppo breve per soffermarsi a bere vini prodotti da persone antipatiche, maleducate, arroganti ed eticamente poco attraenti. Ci sono tanti vini buoni, perché scegliere vini buoni sgorganti dalle mani di persone che buone non sono?

Una decisione condivisibile se ci si limita alla bevuta del liquido, soprattutto se si hanno numerosi decenni alle spalle e molti meno davanti – quando ci va di culo -. L’offerta vinosa è ottima ed abbondante, quindi non ci sono ostacoli per una scelta eticamente dura e pura.

Ma allora la lettura? (Da esclamarsi con la stessa enfasi di “Ma allora il PD?”).

In questo sono asimmetrica e contorta perché non posso esimermi di apprezzare e persino ad amare ferocemente Bukowsky, Nabokov, Hemingway, Pasolini, Céline, e tanti altri cosiddetti maledetti, fascisti, razzisti, alcolizzati, maschilisti, ispiratori di relazioni pedofile e prostituzione minorile.

Sono in verità molto selettiva, il mio massimo Cnobismo mi porta a scegliere principalmente autori stranieri, molto secondariamente autori italiani, quasi sempre defunti e quasi mai autori scriventi di argomenti enoici.

Terminato l’incipit passo direttamente all’explicit, per poi lasciarmi andare a tutto quello che va detto nel mezzo.

Conclusa la lettura posso solo ammettere che non solo si tratta di un bel libro scritto bene, nemmeno solo di un libro scritto da un vero scrittore, neanche solo di un libro scritto come a me piace leggere, ma persino di un libro scritto come io vorrei averlo fatto.

Lo ammetto obtorto collo perché l’autore è un maschio italiano vivente, conservatore, provinciale, provocatore ed esternatore spesso di ragionamenti piriformi riguardanti la figura femminile e la Chiesa moderna, intesa quest’ultima come quella cattolica. Nello specifico vinoso, anche esternatore di idee balzane e bizzarre relative ai vini toscani.

In più indossa il tabarro, un genere di abbigliamento esteticamente punitivo se non si ha il fisico di un giocatore di basket ed il carisma di un intellettuale cineasta operante nella seconda metà del ventesimo secolo.

Come io sia arrivata a scrivere quanto sopra è colpa di una persona che mi stima e mi vuole bene, la quale mi ha regalato un libretto che io non avrei mai letto e tantomeno comprato.
Un volume contenente circa centosessantasette pagine di penna umida e sensuale come certi panorami della Bassa Padana, in cui fa sempre o troppo freddo o troppo caldo. Giorni, sere e notti in cui ci si può solo avvicinare a corpi altrui con un desiderio che travalichi il rischio di sudore ed appiccicume eccessivo.

Oppure stringersi nel paltò prima di entrare nella penombra di un’osteria persa dietro la curva di un canale. O sedersi nella sala d’aspetto non scaldata di una piccola stazione ed intrufolarsi fra le righe per dimenticare il tempo di attesa prima del prossimo treno.
Leggendo mi è venuto in mente Giovannino Guareschi, in particolare un racconto in cui ad un contadino tagliano le viti per vendetta politica e la descrizione del dolore e desolazione che schiacciano un uomo che vive di terra e vigna. Tanto altro mi è venuto in mente, mi sono commossa e ho anche riso leggendo “Orwell diceva che con i vegetariani e i comunisti è inutile discutere. Dimenticava un terzo gruppo: i bevitori di vino rosso a temperatura ambiente.”

Così ho letto come leggo sempre, da sola.

Mi sono ritrovata nelle escursioni avventurose e periferiche di un tabarrista forse nemmeno tanto simpatico, ma che scrive senza ombra di pomposità o autocompiacimento. Piuttosto egli scrive divertendosi a curiosare per rafforzare l’opinione positiva che ha di se stesso.

Lo fa talmente bene che tutto il resto non conta, d’altra parte io ho un penchant pericoloso per i calzettoni, gli uomini col culo piatto e il Sangiovese toscano. Per cui mi astengo nel giudicare chi invece di vestirsi si maschera e ama smodatamente il Lambrusco.

Un solo appunto mi sento di fare ad un libro che consiglio a chi vuole leggere orgogliosamente senza pregiudizio, e riguarda il titolo. Io avrei sostituito la parola “viaggio” con “gita” e la parola “ebbro” con “anarchica”.
“Una gita anarchica in Italia” mi sembra corrisponda meglio, il viaggio è qualcosa di più profondo e complesso rispetto agli appunti dell’autore, il quale nello scrivere è sempre preciso e puntuto, tutt’altro che ebbro.

Camillo Langone
Dei miei vini estremi
Un ebbro viaggio in Italia
Marsilio Editori

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