Orazio e i Caldei

di Faro Izbaziri

Con i torridi effetti del cambiamento climatico ormai evidenti a tutti, anche ai più pervicaci negazionisti, non capisco come si ostinino a far studiare i Caldei nelle scuole. Mi fa sudare solo il pensiero, e siamo a febbraio.

I Caldei non risulta bevessero vino, almeno nelle fonti attestate che conosco: forse perché l’alcol aumenta la temperatura corporea.
Unica relazione – indiretta – tra Caldei e vino si trova nella più famosa Ode di Quinto Orazio Flacco, l’undicesima del primo libro. Della quale si cita di solito solo l’ultimo verso, che comincia con il perentorio invito, o meglio esortazione, carpe diem (per la verità i più colti, come Enrico Mentana, si allungano a riportare anche la seconda parte del verso, quam minimum credula postero).

L’intera Ode recita:

Tu ne quaesieris – scire nefas – quem mihi, quem tibi
finem di dederint, Leuconoe, nec Babylonios
temptaris numeros. Ut melius quicquid erit pati!
Seu pluris hiemes seu tribuit Iuppiter ultimam,
quae nunc oppositis debilitat pumicibus mare
Tyrrhenum, sapias, vina liques et spatio brevi
spem longam reseces. Dum loquimur, fugerit invida
aetas: carpe diem, quam minimum credula postero

che si traduce più o meno:

Non chiedere – non è concesso saperlo -, o Leuconoe,
quale termine finale a me e a te hanno dato gli dei;
non consultare i calcoli dei Caldei: quanto è meglio accettare ciò che sarà,
sia che Giove ci abbia assegnato molti inverni,

o per ultimo questo che logora contro gli scogli il mare Tirreno;
sii saggia, filtra il vino e tronca nel breve spazio le troppo lunghe speranze.
Mentre parliamo, sarà già fuggito il tempo invidioso:
cogli l’attimo, affidati meno che puoi al domani

Come sappiamo noi beoni, non c’è quasi nulla come il vino per cogliere l’attimo. Ci sarebbe, in buona posizione, anche la velocità del proprio commercialista nell’aderire alla nuova rottamazione dei debiti contributivi (detta rottamazione quater).
Ma Orazio, per pura sensibilità poetica, ha saggiamente preferito non citarla.

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