di Shameless
Ho smesso di credere alla felicità da decenni. Quel sentimento lievitante che ci stacca da terra e cresce dentro di noi, fino a diventare incontenibile, appartiene alla mia prima giovinezza. Anche allora però lo temevo, perché ripiombare sul suolo duro della realtà dopo un volo fin troppo breve fa male, molto male.
Ho smesso quindi di crederci e campo meglio.
Credo però nella contentezza e nel suo esercizio quotidiano. Una semplice pratica: almeno due volte al giorno devo trovare un motivo per essere contenta. Sembra una stupidaggine, ma non lo è; non è nemmeno così facile e ovvio. Sono molti di più i momenti di irritazione, di malcontento e di semplice insoddisfazione.
Non tutti i giorni mi riesce, non tutte le volte i motivi sono validi.
Di frequente c’entra il vino nella mia contentezza.
Questo lo scrivo perché nel buonismo virtuoso contemporaneo, macchiato di correttezza etico-politica, ci si straccia le vesti riguardo alla pericolosità dell’alcol e della sua dipendenza. Tutto vero, l’alcol è nocivo, molto nocivo. Chi si occupa di vino lo sa, anche chi ama il vino non solo come prodotto, ma come mondo. Io sono uno di questi.
Quindi, separiamo il concetto di “vino” da quello di dipendenza da alcol.
Perché il vino può provocare contentezza.
Lo fa quando un paio di sniffate, seguite da un sorso, trasportano in un mondo sensuale e mentale piacevole e comprensibile.
Lo fa quando l’atto di berlo è condiviso con altri esseri umani, i quali improvvisamente diventano più attraenti e interessanti, persino divertenti.
Lo fa, quando tutto il resto è grigio, deprimente e stagnante e ci si ritrova soli con fin troppo tempo a disposizione.
Non bisogna esagerare con l’esercizio della contentezza, quel che conta è la costanza, non la quantità.
Questa mattina, per esempio, ho ricevuto in regalo una bottiglia nuda, priva di etichetta, ma piena di un vino frutto del lavoro collettivo di femmine e maschi, diversa la loro età, diversa la collocazione professionale. Lo berrò fra qualche giorno e mi ricorderà un vino di un millesimo lontano. Fu il prodotto di un’annata felice dal punto di vista andamento climatico, sofferta dal punto di vista personale. La conclusione si travasò in una cinquantina di bottiglie nude, consumate dopo mesi in occasione del battesimo di mio figlio, festeggiato non solo perché bello e sano, anche per l’impegno e la fatica dei suoi genitori nel consegnarlo al mondo e alle sue contraddizioni.
Ne sono stata contenta, ora mi applico per trovare un secondo momento di contentezza quotidiana, tipo terminare questo breve post in modo sensato.
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