Domani è un altro giorno

di Raffaella Guidi Federzoni

Arriva la malinconia e poi fatica ad andarsene, questo vuol dire essere grandi e sentirsi vecchi. Una condizione che non risparmia alcun essere umano privilegiato, il quale non si deve preoccupare di come nutrirsi, scaldarsi o di dove abitare. Facciamocene una ragione.
I motivi per immalinconirsi sono molteplici come le bollicine in uno spumante che si rispetti, piccole, vivaci e infinite nella loro verticalità. Il mondo del vino è uguale a tanti altri, pieno di figure segnate dall’esperienza e dalla mortificazione di essere messe da parte da nuove generazioni più smaliziate e convinte nel sentirsi portatrici di contemporaneità.
Un dejà vu.

Era già tutto previsto, il riflusso dopo la sbornia durata trent’ anni o forse più in cui la consapevolezza enoica si diffuse partendo da quasi zero; come un virus potente contagiò una buona fetta della borghesia italica e qualche umile rappresentante del “popolo lavoratore”; tornò in auge una nobiltà agricola a lungo ignorata. Nacquero diverse leggende, poi diventate storia, e quei tre o quattro trobadores/giornalisti specializzati che ne avevano scritto trovarono un seguito di discepoli zelanti, in gran parte capaci. La volontà di assaggio si espanse, grazie all’abilità di scrivere e di raccontare, grazie alla voglia di possedere un nuovo status symbol culturale e sociale: quello del “conoscitore e frequentatore di ambienti vinosi”.

Ci vorrebbero Jane Austen o Tom Wolfe per descrivere quel mondo vinoso di vecchi e nuovi arrivi, ma costoro non ci sono, quindi accontentatevi di questa lunga introduzione da parte della sottoscritta scribacchina.

Quel che era facile da prevedere e che puntualmente si è verificato è il rifiuto di un gusto convenzionale, semplice nella sua percezione di bombe fruttate, pesanti, forme più che rotonde, effluvi esagerati di tropici, confezioni palatali rococò. Quel gusto diffuso da quegli happy fews deputati all’informazione specializzata, sguazzanti felici in un mare popolato da pochi competitori.
Ora invece è tutto uno show, don’t tell, leggerezza, affilatezza, primordialità essenziale. A dircelo sono numerosi natanti in una piscinetta: giovani, tonici e guizzanti. Ci vuole molto fiato e spirito competitivo. Al diavolo l’informazione, l’importante è comunicare velocemente per non annegare.

Resistono tenaci alcuni rappresentanti della vecchia guardia critica, i migliori. Sono in grado non solo di assaggiare, anche di scrivere in modo diretto e comprensibile, hanno accumulato una notevole esperienza e capacità e conservano curiosità per i cambiamenti. Però hanno il loro passo e il loro stile, per cui trovano incomprensibile come una schiera, ma che dico schiera, un’orda di novelli cognoscenti possa avere un seguito apparentemente molto ampio sui social e che questo venga considerato prioritario da chi il vino lo produce.
Niente panico, tout casse, tout passe, tout lasse, il n’est rien, et tout se remplace.

Qualcuno sopravviverà, molti soccomberanno, la competizione è spietata. Sono tutti seri, serissimi, nemmeno un sorrisino ironico: molto studiosi, impegnati ricercatori dell’ignoto, dispregiatori del conosciuto. Pieni di esami, diplomi, schede tecniche, calici – mai chiamarli bicchieri – ad hoc, video presentazioni. Poi ci sono le tette, i piedini, gli ammiccamenti, i cuoricini e altri cazzetti vari.

Ma noi che ci stiamo a fare qui?
Noi che a suo tempo ci siamo divertiti, pur lavorando sodo. Meno male che sia stato così, perché se non ci si diverte a vent’anni, quando si arriva alla mia età di adesso ci si ritrova a pensare con rimpianto “avrei dovuto divertirmi a vent’anni” (cit.*).
Va constatato come i tempi siano cambiati, come il modo di trasmettere la percezione del vino e il suo storytelling (orrore!) siano diversi dalla nostra maniera di raccontare, come ai porelli nati dopo piaccia un gusto vinoso diverso e per noi sbagliato.
Consigliabile è quindi prendere atto di tutto ciò e poi, scientemente, consapevolmente, fottersene.

  • Traduzione molto libera del pensiero di Fran Lebowitz, eccelsa opinionista newiorkese.

One Comment to “Domani è un altro giorno”

  1. Stupenda! Un’istantanea precisa e davvero ben raccontata. Più che condivisibile, ogni riflessione è come se fosse la stessa mia. A volte, anzi spesso, mi sono trovata a sentirmi fuori tempo. E non dipende solo dalla mia età.. Grazie. Un caro saluto a tutti.

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