di Francesco Falcone
Ultima tappa vitivinicola verso est. Ultimi metri di terroir italico. Siamo in frontiera e come tutte le frontiere del mondo lembi di terra straordinariamente simili si dividono un po’ di qua e un po’ di là, tanto da far sorgere il sospetto che sia solo uno specchio che raddoppia la stessa prospettiva. Stessi colori, stessi macigni, stessi boschi selvaggi, stesse uve, stesse raffiche di vento. Improvvise e talora devastanti.
Il Carso ha tante facce quanti sono i suoi confini. Arido come la roccia e generoso come il colore della sua terra. Severo e ospitale, grigio e azzurro. La sua gente è bellissima: visi da turco e da austriaco inalberati su corpi snelli da giuliani; accento triestino e sguardo slavo.
Il Carso è sinonimo di vini fuori dal comune, austeri e selettivi per natura. L’amico Giampaolo Gravina, grande esperto della regione, così la descrive sulle pagine della guida I Vini d’Italia de l’Espresso:
“Con i suoi terrazzamenti a picco sul mare spazzati dalla Bora (i pastini), e le asprezze delle sue rocce calcaree e ferrose di colore rossastro, il Carso è una regione affascinante quanto impervia. La viticoltura ha un forte radicamento territoriale, e le varietà più diffuse sono senza dubbio quelle autoctone: vitovska, malvasia, glera tra i bianchi, soprattutto terrano tra i rossi. Non privi di spigoli, i vini hanno tutti un un apprezzabile potenziale in termini di acidità, cui si salda un forte carattere sapido, quasi salino. Kante, Zidarich, Vodopivec e Skerk i produttori oggi più impegnati sul fronte della qualità.”
Il Carso è tutto nella Vitovska 2006 di Boris Skerk, un vino asciutto e saporito che rimanda alla quiete e ai sassi di Prepotto, alle onde dell’Adriatico che nell’arco di pochi secondi passano dall’Italia all’Istria, alle vibrazioni di una terra primitiva, al lirismo di Scipio Slataper.
E sullo sfondo, profumi di fiori e di aria che non si dimenticano.