di Fabio Rizzari
Torno su concetti già abbondantemente espressi altrove. Una sorta di Bignami del pezzullo “Psicopatologia del critico e dell’enofilo”, apparso a suo tempo in Enogea e poi nel blog espressico. Punto di partenza, Goethe: “i pazzi e i saggi sono ugualmente innocui. Sono i semipazzi e semisaggi che sono pericolosi”
I neofiti e i degustatori di lungo corso sono accomunati da una visione del mondo simile: in un caso e nell’altro non c’è infatti l’angoscia o l’obbligo di dover dimostrare qualcosa. C’è una disposizione d’animo serena, si “solidarizza” in partenza con il vino che si sta per bere, e solo se il vino è davvero deludente interviene un giusto disappunto; specie se la bottiglia in questione è stata pagata a caro prezzo.
Il semisaggio, ovvero il semiesperto, è invece incline a cercare in un vino soprattutto difetti, punti deboli, esitazioni, insomma quello che non va: troppo tannico, troppo surmaturo, volatile eccessiva, non è territoriale, ecc. Così, credendo di prendere in castagna un produttore o un’annata per un problema qualsiasi, immagina di dimostrare al mondo la sua competenza. Pubblicando invece il senso di un percorso ancora incompiuto.
Su una visione se non analoga, quantomeno confinante, pare confluire anche Pasolini, con una pennellata poetica e nostalgica in più: