Semipazzi e semisaggi

di Fabio Rizzari

Torno su concetti già abbondantemente espressi altrove. Una sorta di Bignami del pezzullo “Psicopatologia del critico e dell’enofilo”, apparso a suo tempo in Enogea e poi nel blog espressico. Punto di partenza, Goethe: “i pazzi e i saggi sono ugualmente innocui. Sono i semipazzi e semisaggi che sono pericolosi”

I neofiti e i degustatori di lungo corso sono accomunati da una visione del mondo simile: in un caso e nell’altro non c’è infatti l’angoscia o l’obbligo di dover dimostrare qualcosa. C’è una disposizione d’animo serena, si “solidarizza” in partenza con il vino che si sta per bere, e solo se il vino è davvero deludente interviene un giusto disappunto; specie se la bottiglia in questione è stata pagata a caro prezzo.

Il semisaggio, ovvero il semiesperto, è invece incline a cercare in un vino soprattutto difetti, punti deboli, esitazioni, insomma quello che non va: troppo tannico, troppo surmaturo, volatile eccessiva, non è territoriale, ecc. Così, credendo di prendere in castagna un produttore o un’annata per un problema qualsiasi, immagina di dimostrare al mondo la sua competenza. Pubblicando invece il senso di un percorso ancora incompiuto.

Su una visione se non analoga, quantomeno confinante, pare confluire anche Pasolini, con una pennellata poetica e nostalgica in più:

7 commenti to “Semipazzi e semisaggi”

  1. Fulminante.
    Non limiterei lo spazio all’interno della categoria “semi-” al critico e all’enofilo. C’è una lunga fila sgomitante di produttori che aspetta solo di entrare.

  2. Mi sento in sintonia con il “messaggio” di fondo. Penso che il confine tra pazzia e saggezza sia quanto mai sottile, considerando che il pazzo è quasi sempre un saggio travestito da pazzo, e il saggio non sempre è riconosciuto come tale e corre, in tal caso, il rischio di essere preso per pazzo.
    Nel merito, riprendo una citazione di non ricordo chi (ma sicuramente un musicista) per riportarla in ambito enoico e sostenere con grande convincimento che il grande vino non è quello che ha pochi o nessun difetto, ma quello che ha moltissimi pregi.
    Armando potrà confermare il seguente “nanetto”. Visitiamo qualche anno fa la cantina di un nuovo produttore, che aveva appena acquistato le vigne di un famoso Domaine di Vosne Romanée dopo la morte del suo proprietario, Ci accompagna nella visita e ci illustra la nuova filosofia della “casa” il giovane enologo (che non saprei, a questo punto, se definire un mezzo saggio o un mezzo pazzo), che ci tiene a rimarcare come i suoi vini siano tecnicamente perfetti (nel senso di privi di difetti) al contrario di quelli del precedente proprietario. Aveva ragione, ma abbiamo preferito evitare la rissa (il tipo era iperdotato di sicumera) e non gli abbiamo detto che i suoi vini non avevano neanche l’ombra dei moltissimi pregi del predecessore.
    Probabilmente capirà, o almeno glielo auguro, quando supererà la fase della semisaggezza (o, se preferite, quella della semipazzia).

  3. Tra prosa e poesia scorre un fiume infinito; il problema è che la saggezza non si persegue come scopo ma la si raggiunge senza nemmeno accorgersene passando per una lunga strada di semisaggezze lastricata da scivoloni e autoreferenzialità che sono, a mio avviso, coessenziali all’essere umano in qualsivoglia campo dello sciibile. Senza errori di iperegocentrismo, presunzioni dell’essere “arrivati”, conseguenti cocenti delusioni, non si arriva a comprendere che la meta definitiva non c’è; resta solo una strada che si percorre perchè si prova il puro piacere di farlo. Se non cado in fallo, nella cultura veterotestamentaria il saggio viene chiamato “dabìt” (“si sbaglio mi corigerete” cit.), vocabolo che starebbe per “colui che tiene l’orecchio sotto la bocca del Signore”. Rebus sic stantibus, a qualsiasi forma di entità metafisica si faccia riferimento, inevitabilmente al suo costpetto vi sarà sempre da apprendere in modi e tempi non immaginabili: una ragione di più per ritenersi costantemente dei “semisaggi” (ognuno con la sua personale percezione del “semi-“) e ricavarne un atteggiamento che si sforzi di essere umile nel comprendere gli altri semisaggi che ci circondano.

    • Non si può che concordare. Sgombro il campo dall’equivoco forse sottinteso al commento: anche lo scrivente del post, cioè me medesimo, va/vado ovviamente rubricato tra i semipazzi (più che tra i semisaggi). Non l’ho scritto per pudore e per sovraesposizione mediatica della citazione, ma lo esplicito: il saggio par excellence nel settore era il vecchio Gino. Egli era davvero pacificato. Egli corrisponde perfettamente alla evocativa, ultima immagine poetica di Pasolini, nel video citato.

  4. Mio padre diceva che nella vita si smette di fare errori solo quando sono stati fatti tutti, ma l’uomo ne trova sempre di nuovi.
    Ma a questo punto, colui che crede di essere diventato saggio cos’è? Un pazzo, un mezzo pazzo e un mezzo saggio?
    Mi sembrava ovvio, ma forse non lo era: la meta definitiva non c’è, c’è solo una strada da percorrere e non se ne vede mai la fine.
    Concordo.

  5. Grandissimo Magister…

    Tanti complimenti anche a Rizzari per il suo vecchio (ma attuale) scritto “Psicopatologia del critico e dell’enofilo”, che leggo oggi per la prima volta; lo ritengo lucidissimo ed estremamente utile, prima di tutto per me.
    Penso che la chiave di volta vada cercata nel momento in cui si sostituisce l’oggetto del discorso; ovvero quando si toglie di mezzo il vino, e lo si rimpiazza con se stessi. Il punto è tutto qua, a mio avviso.

  6. Il guaio é che il vino in Italia è antico, ma come professione in realtà é troppo nuovo e in ogni sua declinazione é pieno di gente che ha imparato tre formulette (in genere banali) e sa recitare solo quelle. In genere con molta prosopopea. Ma stiamo crescendo, molti dei giovani produttori sono molto meno “costruiti” e più spontanei dei loro predecessori.

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