Di solito non leggo Playboy. Capisco, nessuno legge Playboy; si guardano solo le foto. In questo specifico caso sono proprio andato a leggere un articolo, ovviamente coprendomi pudicamente gli occhi quando gli stessi volevano giocoforza cadere su dosi industriali di gnocca.
Tutta questa faticata per arrivare a leggere l’intervista allo chef Davide Scabin del Combal Zero di Rivoli. La segnalazione mi era arrivata da una cara amica, chef anch’ella, che sottolineava la forte affermazione dell’intervistato “Uno chef come cucina, tromba!” Tale assunto, che potremmo definire da adesso Teorema di Trombagora, aveva anche due corollari per niente scontati “Ci sono cuochi che non trombano come cucinano” e “si può capire come tromba uno chef da come cucina”.
Indubbiamente c’era materiale su cui riflettere e questo ho fatto. Eccovi i risibili risultati.
Avrei pensato che col suo mestiere Scabin fosse tendenzialmente empirista, mentre la sua frase lo porta nettamente in campo razionalista, mostrandolo seguace di quel Cartesio che con il suo “Coito ergo sum” è stato il padre dei moderni “Gnoc a penser”. In precedenza avevamo avuto un fulgido esempio, come ispiratore-precursore di tale filosofia, in Aristotele che, col suo “dio Motore immobile che attrae a se l’amante” ispirò anche il famoso trattato “De bunga Bungarum” dello Pseudo Berlusconensis, Arcore, Olgettina Edizioni.
Ma quello che rende purtroppo in parte vano il teorema di Trombagora è che, al contrario delle leggi matematiche non è vero sempre. Infatti ci sono mestieri e professioni dove si può tranquillamente applicarlo (lo chef è una di queste) e altre dove non può essere utilizzato. L’affermazione “come cucino trombo” infatti può essere discussa ma fondamentalmente ognuno di noi riesce in una qualche maniera ad immaginare un modus operandi che possa avvicinare i gesti o i risultati del cucinare alla gestualità trombatoria.
Ma un commercialista, per esempio, non potrebbe mai dire “Come faccio il 740 trombo”, o un parrucchiere non sarebbe saggio ad affermare “Come faccio le meches trombo”. Allo stesso modo uno spazzino rischierebbe di non essere compreso se dicesse “Come scopo, trombo!” Addirittura è sconsigliabile l’applicazione a mestieri alti, come il fare politica, perché solo in Italia una cinquantina di milioni di soggetti si sentirebbero parte in causa e non la prenderebbero certo bene.
Ma andiamo avanti e veniamo al corollario “si può capire come tromba uno chef da come cucina”. Quindi uno chef specializzato in presentazioni sorprendenti che alla fine però nascondono microscopiche porzioni sarà molto bravo nei preliminari ma una volta giunto al dunque… la porzione…risulterà insufficiente? È anche vero che una bella serie di piccole porzioni possono dare appagamento e soddisfazione al pari di un intero stinco di vitello ben cucinato, a sua volta tendenzialmente volgarotto ma sicuramente efficace nel suo compito.
Facciamo anche degli esempi con nome e cognome: la cucina molecolare e le schiume di un Ferran Adrià cosa rappresentano? Siamo di fronte ad un qualcosa di non ben definito, destrutturato, tendenzialmente piuttosto molliccio a cui la consistenza viene data da una continuata, quasi irrefrenabile e preventiva movimentazione della materia prima. Usando il Teorema di Gnoccagora potremmo definirlo onanismo su misure scarse.
E l’ultima uscita del Gualtiero nazionale, con i due panini da fast food, cosa rappresenta nel talamo? Un veloce mordi e fuggi, un accontentarsi di poco perché non si conoscono i confini del piacere. Un fermarsi ad abbinamenti/accoppiamenti scontati, senza nemmeno riuscire a capire quello che stai infilandoti dentro. Sempre grazie al teorema si arriva alla definizione di “fredda sveltina”.
Cerchiamo adesso di applicare il teorema al produttore del teorema stesso. Forse potrebbe esserci utile partire dall’anagramma del nome del suo locale.
Questo può essere fatto almeno in tre maniere che aprono un ventaglio di possibilità.
1. Leco Zombar.
2. Zomba clero.
3. Bramo le Zoc.
Nel primo caso saremmo di fronte a preparazioni preliminari (antipasti o meglio appetizer) però non da mordere ma da lappare, magari con metodicità, prima di passare al piatto forte. Negli altri due casi si entra in cucine diametralmente opposte : la prima molto ossequiosa, manierata, ammantata naturalmente di un velo di misticismo ma sotto sotto crudamente realistica, la seconda forse più dozzinale ma sicuramente più liberatoria anche se nei fatti meno trasgressiva.
Sui piatti, visto che ci ho mangiato una volta sola circa sette anni fa (non è proprio vicinissimo né a buon mercato), lascio parlare la scheda di un’ importante guida:
“Il talento di Davide Scabin si nutre di inquietudine, di accelerazioni e di strappi….non è certo una personalità solare, la sua, né una cucina rassicurante quella proposta al Combal……crea un rapporto stimolante……come la Matrioska di Tropea…..passata in forno per due ore e mezza, smontata e rimontata incorporando al suo interno grani di caviale, poi irrorata da un infuso di liquirizia e origano e infine accompagnata da panna acida…….. dopo le variazioni di sofficità e croccantezza della “patata orizzontale” sei diverse preparazioni con altrettante tipologie di patate ….ecco la “fusione a freddo”… dietro le false sembianze di una macedonia di frutta innaffiata di acqua minerale innesca una serie di reazioni a catena giocate sulla percezione di temperature e consistenze, dal gelido al tiepido, dal croccante al farinoso al liquido.”
Anche se stiamo parlando del creatore del teorema di Trombagora mi sembra molto difficile trovare una traslazione in campo gnocchico della sua cucina, però ci provo. Piatti, mi verrebbe da dire, molto cerebrali, che toccano la cima abissale grazie ad un ingrediente principe di entrambi i campi, la patata. Questa, pur essendo già orizzontale, viene sottoposta a ben sei preparazioni prima di poter essere goduta. Non credo di uscire molto dal seminato se definisco la sua cucina, utilizzando l’apposito teorema, da una parte per trombatori amanti del rischio e dall’altra per segaioli. Fate voi!
Alla fine il teorema di Trombagora e le sue applicazioni dimostrano soprattutto una cosa: che spesso i giornalisti sono pari agli chef nello sparare sonore cazzate!