di Armando Castagno
Nonostante la crisi del glorioso comparto ippico nazionale, non è inutile sapere come muoversi e cosa fare – o non fare – in quelle consorterie di varia umanità che sono le Agenzie ippiche, segnatamente quelle della Capitale; è in esse invalso l’uso di un gergo strampalato, di un vernacolo stravagante, che è d’uopo l’Accademico Alterato conosca nei dettagli.
Ecco quindi un glossarietto, assai sommario per la verità, ma che nelle intenzioni del compilatore sarà seguito almeno da una seconda puntata; sempre che l’uditorio apprezzi, e ne segnali l’opportunità.
APPRATATO
Lemma nato all’ippodromo delle Capannelle che sta per “ultimo staccato”; ma non solo genericamente staccato: talmente staccato che mentre il vincitore della corsa sfreccia sul traguardo, il soggetto appoggiato al gioco flotta all’altezza delle tribune vecchie di Capannelle, lontane dal traguardo almeno 400 metri, di fronte alle quali c’è il vasto prato tipicamente usato dai romani per il picnic del primo maggio a base di fave e pecorino. “Ma ndo sta er cavallo tuo?” “Urtimo appratato”. Una variante a questa risposta ormai rarissima, ma irresistibile, è rimasta patrimonio di pochi, impagabili vecchietti: “Ma ndo sta er cavallo tuo?” – e loro: “Stà a aspettà quelli d’aa corsa dopo”.
ARZILLA
E’ il nome dialettale romanesco di un pesce, la razza chiodata. E che c’entra, direte voi? Semplice: l’agenzia ippica è il luogo dove si usa più frequentemente un’espressione vernacolare che la chiama in causa, riferendosi al fatto che le ricette tradizionali con la razza – tipicamente romano-giudaiche – non comprendono il pomodoro. L’espressione significa “non avere un euro in tasca”, e si usa come segue. “Ahò, me presti cinqu’euro?” “E ‘ndo li pio? Sto ‘n bianco com’aarzilla”.
CÀNTERE
Corruzione dialettale dell’inglese “canter”, cioè l’andatura intermedia tra il trotto e il galoppo, detta anche “piccolo galoppo”. E’ l’andatura richiesta dal fantino al cavallo per raggiungere la zona degli stalli di partenza riscaldando appena i muscoli, senza sforzi. In Agenzia si usa soprattutto per denigrare le chances di un cavallo. “Te piace er nummero cinque?” dirà l’appassionato all’amico mostrandogli tronfio il ticket della scommessa. “Gnaa fa a fa’ er càntere” lo liquiderà quest’ultimo (= “non ce la fa nemmeno a fare il canter”). Vedi anche *frattaje.
CAPPONE
Cioè il gallo castrato, a Roma simbolo di irredimibile stolidità. E’ l’appellativo più comune in vernacolo per designare un cavallo di scarsissimo valore. “Ma che tte giochi er numero quattro, ma noo vedi ch’è ‘n cappone?”. Molti, ovviamente, i lemmi di dileggio e le espressioni alternative per dire la stessa cosa, mantenendo il colore romanesco: “è ‘n somaro”; “è ‘n’asino”, “è ‘n sorcio”, o l’estremo “è bbono pe’ Pinuccio Mastropietro”, leggendaria figura di macellaio operante nella zona delle Capannelle, via via specializzatosi in carni equine.
COSETTA (‘NA)
Splendida espressione in understatement con cui il “guru” d’agenzia, quello considerato il vero “esperto”, arriva al dunque nell’elargire un consiglio di gioco. “Mettece ‘na cosetta”, sentenzierà il Vate; e gli avventori, sfibrati nell’autostima da decenni di biglietti strappati e *somari giocati, si porteranno la mano al cuore profondendosi in lodi e ringraziamenti. “Méttece ‘na cosetta”, a seconda dell’espressione dello Sciamano, può significare “puntaci sopra tutto quello che hai in tasca” o davvero “puntalo, ma con prudenza”. Quando il cavallo passerà il traguardo, mediamente tra l’ottava e la tredicesima posizione, il Vate sgranerà le possibili spiegazioni (“nun fa er pesante” – e loro “ma si nun piove da sei mesi” – e lui: “ce lo so, ma hanno annaffiato ‘a pista, sti fiji de na mignotta”; “ha ‘mbragato (v.)”; “l’ha montato a cazzo de cane”, eccetera). Qualunque scusa accampi, i malcapitati che l’hanno giocato si aggireranno poi mortificati per l’Agenzia ripetendo a mezza voce guardandovi come vi conoscessero da sempre mentre fanno a pezzi il biglietto: “ciò messo casa…”, “ciò messo nonna…”, “ciò messo ’na cifra…”, “ciò messo ’li resti…”.
CRONACA
Il commento alla corsa da parte di un giornalista o, ai tempi d’oro, telescriventista presente all’ippodromo o collegato via cavo. Si usa in agenzia a Roma nella locuzione “quarto p’aa cronaca” (= “quarto per la cronaca”), espressione bizzarra quanto intimamente commovente. Perché “quarto p’aa cronaca” nasconde una segreta speranza. “Com’è arivato er tuo?” “Quarto p’ aa cronaca”. Cioè a dire, è arrivato quarto, e quindi non riscuotibile nemmeno come piazzato, ma è nella prima posizione utile, nel caso di un intervento di autorità dei commissari di campo per indagare su qualche irregolarità di traiettoria, per guadagnare almeno un posto, passare così al terzo, e mandare il giocatore alla cassa per riscuotere il piazzato. In applicazione della Legge di Murphy, quando l’intervento dei commissari c’è davvero e se ne attende il verdetto, il giocatore inizia a vantarsi di aver nettamente visto l’irregolarità che porterà il suo cavallo almeno al terzo posto, e dopo qualche minuto questi viene d’autorità retrocesso al quinto.
DRÀNGHETA
Nom de plume di Ernestino Spanò, mite portiere di stabile in Via Ostiense dalle fattezze identiche a quelle di Lorax (vedi su Google), che era uso millantare amicizie altolocate nella cupola dell’organizzazione malavitosa calabrese. In realtà “Dràngheta” è l’uomo più buono del mondo o giù di lì, se non ha mai potuto prestare soldi a nessuno è perché non ha mai preso un cavallo in vita sua, svolgendo peraltro ottimamente le funzioni di oracolo al contrario. Gli si chiedeva chi “gli piacesse” tra i due cavalli tra i quali si era indecisi in una data corsa, si ascoltava il suo verdetto e si giocava l’altro.
FRATTAJE
Come nel caso del *càntere, anche le “frattaje”, cioè le interiora e nello specifico gli intestini, possono far parte di una risposta vòlta a farvi intuire che avete giocato un *cappone (v.). Provate a chiedere, ad esempio presso l’Agenzia di Via degli Avignonesi al Tritone, a un vecchio cavallaro locale se è d’accordo con voi che il cavallo X può vincere la corsa. Passategli il numero del giorno di “Trotto&Turf”, il giornale ippico. Lo studierà, poi scruterà voi da dietro gli occhiali abbassati in punta di naso (e quasi sempre con una delle due bacchette fermate con lo scotch), poi alzerà gli occhi alla tv per valutare la consistenza del terreno, poi guarderà di nuovo voi, e alla fine il giornale con le corse recenti del vostro. Arriverà quindi il suo stentoreo, assertivo, dirimente: “a moré… si ffa ‘e frattaje dar culo po’ arivà quinto” (= “se si sforza tanto da farsi uscire gli intestini dal sedere può farcela ad arrivare quinto”).
GATTO (SEMO DER)
Questa gustosa espressione (“Semo dér gatto”, siamo del gatto) fa parte di quel florilegio di modi di dire tipicamente usati durante la corsa, mai prima né dopo. Si segue con gli occhi in televisione – ma anche all’ippodromo, soprattutto se uno dei dialoganti ha il binocolo e l’altro no – il cavallo giocato, meglio se da due o più giocatori, singolarmente o in società; e quando l’animale immancabilmente inizia a perdere posizioni accusando la stanchezza o la maggior prestanza degli avversari, parte una lamentazione che può comprendere il citato “semo dér gatto”, o giudizi tranchant sul quadrupede, sussurrati rabbiosamente a fil di labbra, come “nun è da corsa”, “ nun segue” (sottintesa: l’andatura), “àmo giocato n’ cadavere”, “va ‘ndietro”, o il sublime “nun è ‘n cavallo”.
IMBRAGATO
La giustificazione più comune che ci si dà, o si dà agli altri, per aver giocato o consigliato un cavallo che ha corso molto male, cioè, in gergo, “nun ha fatto corsa”, “nun s’è mai visto”, “n’haa mai ‘nquadrato” – detto del cameraman, “n’haa mai nominato” – detto del telecronista, o addirittura “’oo cércheno” (= “lo cercano”). Si dice che il fantino “ha ’mbragato”, cioè trattenuto di proposito il cavallo come con una imbragatura, allo scopo di assicurarsi magari un peso inferiore in una corsa ad handicap più ricca dell’odierna in cui lo staff del cavallo ha in mente di concorrere in futuro; o semplicemente si spera di trovare una quota più alta per il cavallo in una corsa in cui detto staff lo giocherà pesantemente, visto che in realtà è più veloce di quanto la “forma pubblica” non suggerisca. Quest’ultima pratica chiamasi “molla” (“ahò, m’hanno detto che oggi a questo ‘o mòlleno: mettece *’na cosetta”).
PARTITI
E’ il segnale che i cavalli sono usciti dalle gabbie e la corsa è cominciata. Lo starter comanda l’apertura delle gabbie e abbassa la bandiera per convalidare la partenza e il telecronista o lo speaker dell’ipporomo annunciano il “par-titiii!”, sempre con voce stentorea e tono molto enfatico. In agenzia, almeno in alcuni locali storici di Roma, è il solo momento in cui i giocatori sono tutti solidali tra loro, e si producono difatti in una vera recita collettiva. L’effetto è esilarante; il televisore dell’agenzia gracchia: “par-ti-tiii!” – e tutti gli astanti in coro rispondono al suo indirizzo: “i sor-diii!”.
PIPPA
Se nel gergo del calcio e in generale sportivo questo saporoso lemma romanesco sta per “giocatore/atleta scarso”, in quello dell’ippica, almeno a Roma, l’accezione non è che residuale. Pippa, all’ippodromo, esiste essenzialmente come elemento dell’espressione “ca’a pippa ‘m bocca”, cioè “con la pipa in bocca”, a significare una tale superiorità del cavallo da potersi concedere il rilassante vezzo persino durante la gara. “Vincere con la pippa in bocca” sta quindi per “vincere facilmente”; e altre locuzioni per significare il “facilmente” sono: “de cento metri”, “de mezza retta”, “de ‘na dirittura”, “de n’ora”, “in *càntere”, “de ‘n giro”, “a fermà”, “come je pare”, “a paletti”.
SPREMITORE
Figura ormai pressoché estinta, ma struggente, di “topo d’agenzia”, platealmente spiantato e presumibilmente residente “sotto li ponti”, che verso la fine di ciascuna corsa avvicina rapidamente uno a caso di coloro che stanno esultando per aver imbroccato il cavallo che sta per vincere e inizia inopinatamente a fare un tifo d’inferno per il suddetto cavallo, salvo a corsa finita – e vinta – chiedere con naturalezza una percentuale sulla vincita. “E perché te dovrei da dà li sordi? Ch’hai fatto, te?” “E che, nun l’hai visto? ME SO’ SPREMUTO”.