di Raffaella Guidi Federzoni
Il futuro è diventato presente. Succede sempre così, gli anni passano, i figli crescono, non solo i miei, pure quelli degli altri. Sono ancora qui a rimirarmi come ragazzina di bottega e, improvvisamente, mi ritrovo la più anziana del gruppo. La verità mi coglie alle spalle quando divido l’esperienza di un viaggio insieme ad altri produttori avventurosi. Prima passavo le serate dopo le degustazioni a chiacchierare con coetanei, ora vado a ballare con i compagni di scuola di mio figlio. Non è che mi dispiaccia, anzi mi lusinga assai che mi comprendano nel divertimento liberatorio dopo giornate molto pesanti.
Quel che mi colpisce è la loro serietà e determinazione.
Sono ragazzi che hanno scelto di restare, si sono trovati la vigna e hanno deciso di condurla a modo loro. I loro nonni e genitori hanno studiato di meno, loro parlano un inglese più che accettabile, usano con disinvoltura le mirabilie tecnologiche e ascoltano roba improponibile. Quando però si tratta di “fare” vino dimostrano una competenza profonda ed un entusiasmo contagioso.
Ne conosco molti, ma ne porto quattro ad esempio.
I primi due sono giovanissimi, neanche lontanamente trentenni, entrambi eredi di famiglie contadine, proprietarie di piccoli appezzamenti che valgono oro. Questo oro non è andato perso in spese inutili, finiti gli studi i ragazzi sono tornati a casa perché lì vogliono rimanere. Il loro vino era già buono, ma loro lo stanno arricchendo di una freschezza, una pulizia ed una classicità nuova. Non sono monaci, si fidanzano e sfidanzano, vanno in palestra, giocano a calcio, ma se ti parlano di quello che fanno in vigna e in cantina ti spiazzano per quanto ne sanno davvero.
Il terzo non ha sangue toscano, ma i suoi nonni arrivarono qui quando lui era piccolissimo. Dopo le medie decise di andarsene a studiare enologia al nord. Non è stato facile, e ancora mi ricordo le perplessità dei suoi genitori per la sua lentezza nel finire gli studi. Ma il ragazzo lo meritava, fra una bocciatura e l’altra se ne andò in giro per l’Europa con l’interail. Ogni tanto compariva al Vinitaly per assaggiare. Una simpatia travolgente. Una volta diplomato, partì per l’Australia e poi per l’Argentina, a farsi le ossa in cantine molto diverse da quella del babbo.
Tornato a casa, ha preso in mano l’azienda rivoltandola come un calzino. Via certe approssimazioni, ha messo la sua testardaggine germanica al servizio della qualità. I risultati cominciano a manifestarsi in un vino più integro e privo di alcuni difetti che un tempo lo penalizzavano. Nel frattempo si è sposato e ha generato due figli splendidi, non necessariamente in questo ordine.
L’ultimo è più grande, ma anche lui non arriva a quarant’anni. Il suo percorso è simile ai precedenti, con la differenza che la terra che si è ritrovato non è, in teoria, fra le zone più vocate, o classiche. È comunque terra da vite, come lo sta dimostrando dopo i primi anni di tentativi incerti. Prima di fare il suo vino questo ragazzo ha lavorato per altri. Soprattutto in vigna, e non in una vigna qualsiasi, bensì in una delle più giustamente celebrate. La sua capacità di capire il suolo e le stagioni mi si è rivelata durante il lungo viaggio di ritorno che abbiamo condiviso ultimamente. Ascoltandolo ho capito il perché o il percome dei suoi vini, come mai le prime annate erano in un modo e quelle successive si stanno rivelando sempre più precise, meno sforzate, più appaganti e complete.
Volutamente non rivelo i nomi delle persone e delle aziende sopra descritte. Non voglio fare un torto a tanti altri che meriterebbero di essere citati. Quello che mi interessa è rendere omaggio ad una certa gioventù che sta rigenerando non solo una particolare denominazione, ma anche il mondo del vino in generale. L’anima di un luogo si alimenta del sangue di chi ci vive. Se il sangue è giovane, l’anima vivrà ancora a lungo.