di Raffaella Guidi Federzoni
Nel giorno in cui a casa mia – intesa come luogo di residenza e di lavoro – iniziava di nuovo a soffiare la tramontana avvelenata del protagonismo maligno, io percorrevo a passi veloci i corridoi esterni della fiera, anch’essi spazzati da un vento gelido. L’ultimo giorno della Prowein è sempre quello più stagnante. Gli affari consistenti sono ormai conclusi, i visitatori importanti se ne sono andati e si comincia a pensare al ritorno. Rimane il tempo per gli ultimi assaggi senza stress, da queste parti tutto si svolge con passo tranquillo privo della concitazione disorganizzata del Vinitaly.
Mi sono così trovata davanti a due fratelli che presentavano i loro vini per la prima volta. Un’azienda giovane, ma con vini provenienti da piccoli appezzamenti dall’età considerevole. I ragazzi sono entrambi enologi e molto appassionati, la zona è quella di Gioia del Colle, in Puglia. Oltre alla loro linea base che li fa campare, producono poche migliaia di bottiglie riunite sotto il nome di Maccone, comprendenti diverse interpretazioni del Primitivo. Prima di degustarle mi hanno offerto all’assaggio il loro bianco Fiano Minutolo 2011. Una varietà diversa dal Fiano di Avellino, ed infatti più che i delicati aromi di camomilla, tiglio e biancospino che associo a quella tipologia mi sono letteralmente saltati al naso profumi intensi di cedro, erba verde ed essenze officinali. Anche in bocca risaltava soprattutto la balsamicità spinta e mentolata che già si avvertiva alla prima sniffata. Un bianco giovane ma tutt’altro che insulso. Una bella prova sperimentale.
Dei rossi, tutti a base di Primitivo, mi è rimasto più impresso quello che riporta sull’etichetta semplicemente Rosso Maccone, non possono chiamarlo altrimenti poiché ha un volume alcolico del 17%. La resa per ettaro è del 20 per cento, l’affinamento è solo in acciaio. I due proprietari mi hanno spiegato di non usare legno per la volontà di mantenere l’aspetto giovane ed intensamente fruttato del vitigno. Sicuramente il frutto c’è, con una complessità che sorprende. L’amarena sotto spirito maritata alla fragolina di bosco. Si percepiva in bocca un tocco di austerità necessario per stemperare l’eccessiva dolcezza del frutto rosso maturo, donando una freschezza e succosità invitante alla deglutizione compulsiva. Il loro Primitivo dolce presentava le stesse caratteristiche, incrementate da un tocco di visciola molto scorrevole, il rimando alla frutta rossa nelle sue numerose declinazioni, mi ha regalato una vertigine caledoiscopica.
Tornata con i piedi per terra, qualche ora dopo mi sono ritrovata in un ristorante tailandese, per celebrare la fine della Fiera con pochi amici e colleghi.
Guest star della serata la mia personale Wine Woman Number One.
Se dovessi, infatti, stilare una classifica delle numerose donne del vino che conosco, lei sarebbe al primo posto. Tante altre sono in gamba, professionali ed entusiaste, alcune giovani o giovanissime. Tante altre sono più conosciute e paparazzate, contro la loro volontà.
Marinella Camerani appartiene ad una categoria a sé. Ci siamo conosciute diversi anni fa, dall’altra parte dell’oceano. Ai confini del mondo promuovevamo i nostri vini, lei con il suo inglese approssimativo e marcato da un forte accento veneto. Durante la presentazione pubblica della sua azienda si interruppe per svegliare con un potentissimo “Shhhhh!” un tipo che si era appisolato in prima fila. Da allora è un mito. Quando torniamo nello stesso posto, ogni due anni, entrambe siamo le “special guest” per l’atteso Business Women Lunch delle agguerrite donne d’affari di Calgary.
Femmine danarose che pagano 150 dollari non solo per assaggiare i nostri vini – che ormai conoscono bene – ma per sentirci raccontare della nostra vita di donne del vino italiano. Prima di entrare in scena la preparo come un coach dietro le quinte. Lei si affida a me per trovare uno spunto, ma poi va avnti come pare a lei. L’ultima volta decise di parlare della sua menopausa. Fu, di nuovo, un successo. A sentirla raccontare della difficoltà di una donna più che cinquantenne, delle sue “hot flushes” mentre svina, dei suoi sbalzi d’umore dovuti più che agli estrogeni ai problemi con il mercato, della sua scelta biodinamica motivata da un’esigenza interiore e riportata alla sua vigna, c’erano 250 persone. Alla fine l’applauso è stato lungo.
Marinella produce il mio Amarone preferito, Corte Sant’Alda. In questo vino e anche in quelli “minori” non c’è traccia di puzzette e di stanchezza, solo il nitore e l’incanto di un lavoro rispettoso e faticoso. Un lavoro quotidiano ed instancabile.
La mia amica l’altra sera ha tenuto banco come al solito. Messa da parte l’amarezza e la frustrazione causate dalle recenti vicende ilcinesi, insieme al mio capo ed amico l’abbiamo ascoltata, contraddetta e presa in giro. La conversazione è spaziata dalla proliferazione di banditi mascherati da importatori, i pro e contro della biodinamica, il senso di un pellegrinaggio sul Cammino di Santiago, sistemi di dimagrimento, camicie da notte maschili e, naturalmente, il vino.
Tutto questo bevendo birra thai.
Così è, se vi pare.