di Giampaolo Gravina
March Madness
La chiamano March Madness: è una sorta di follia collettiva per il basket universitario che nel mese di Marzo si propaga dai college statunitensi a tutto il pianeta degli appassionati della palla a spicchi. Io ne sono contagiato da tempo e vivo in una sorta di trance l’intero periodo: inchiodato a Espn, canale 214, pressoché mimetizzato nella tappezzeria del divano, mi sprofondo nel vortice della bracketology tra la costernazione ormai rassegnata di parenti e amici. Ma sono in buona compagnia.
L’unica deroga che mi concedo da inizio Marzo fino al Vinitaly è la trasferta sulle tracce del vino campano. Un appuntamento concertato quest’anno in una formula perfino più appetitosa del solito, cioè affiancando alla già collaudata anteprima irpina di Taurasi Vendemmia, un’esplorazione preliminare di tutte le diverse anime del vino rosso prodotto tra Roccamonfina a Sapri. Che poi, tradotto in termini cestistici, è un po’ come dire tra Portland Maine e Portland Oregon.
L’evento, che rivendica a buon diritto dignità di insanity, è firmato dalla Miriade & Partners di Diana Cataldo e Massimo Iannaccone, con la collaborazione di Lello Del Franco e la regia di Paolo De Cristofaro, mio fraterno amico nonché acerrimo rivale nel Fantabasket, dove compete sotto le mentite spoglie di drink and roll. È a un bel testo di Paolo recentemente apparso su Tipicamente che rimando senz’altro chiunque fosse in vena di approfondimenti seri e volesse farsi un’idea meno vaga del progetto Campania Stories, cioè più rispettosa dell’alta qualità e dell’ottimo lavoro profusi.
Attenzione, però: il bilancio che Paolo prova a elaborare in quel post, così intriso di dubbi, perplessità e obiezioni, riguarda prevalentemente il comparto del Taurasi. Qui vorrei invece provare, in modo meno serio e problematico ma più giocoso e palesemente alterato, a mettere in cortocircuito le due insane passioni sotto forma di pronostico, per isolare tra i rossi campani (Aglianico escluso) come tra i roster del torneo Ncaa qualche promettente “campione” su cui scommettere per il futuro. Nel farlo, mi prenderò la licenza di chiamare in causa qua e là, accanto ai vini delle aziende che hanno aderito al programma ufficiale di Campania Stories, anche qualche outsider in rampa di lancio, scovato nel pluriennale lavoro di scouting per i lettori della Guida Vini Espresso e di Enogea.
Questo per conservare uno sguardo d’insieme più aperto e fiducioso, nell’auspicio di ritrovarli presto tutti (vini e giocatori) in prima linea al prossimo draft.
Indiana e Piedirosso dei Campi Flegrei
L’occasione è troppo ghiotta, non posso che partire da questo testacoda: abbinare cioè una delle franchigie più competitive (favorita per il titolo nei pronostici di molti commentatori, indicata vincitrice anche nella “baracketology” del presidente Obama, finirà invece eliminata agli ottavi da Syracuse) al meno considerato (fin qui) dei rossi campani. Che al contrario, acquattato sotto le foglie della sua reputazione da vinello, spiazza tutti sfoggiando una condizione pimpante e una performance di invidiabile agilità e dinamismo. Ma c’è dell’altro: non si tratta più di episodi isolati, i Piedirosso buoni, nei Campi Flegrei e non solo, sono aumentati. Forse non una tribù, come il nome lascerebbe intendere, ma il nucleo su cui costruire una squadra competitiva senz’altro sì. Ecco dunque schierati i miei favoriti, abbinati ai frontmen del roster di Indiana.
Agnanum è energia allo stato puro, il Victor Oladipo del vino flegreo: forte in difesa come in attacco, sulla Falanghina e sul Piedirosso, guardia che può giocare anche da ala piccola, capace di rubare palla come di andare a rimbalzo. A proposito di Oladipo, un nome di cui sentiremo parlare spesso nell’Nba dei prossimi anni, qualcuno ha obiettato che scomodare paragoni con Wade e addirittura con sua maestà MJ appare oggi piuttosto azzardato e prematuro; a proposito di Raffaele Moccia, invece, sfido chiunque a contestare che i due Piedirosso presentati in assaggio non costituiscano già da oggi l’accoppiata di un pick and roll irresistibile. Espressivo e innervato di succo il “base” 2011, dal pimpante carattere floreale, freschissimo e contagioso nella bevibilità. La selezione Vigna delle Volpi 2010, poi, è la quintessenza del Piedirosso d’autore: capace di coniugare rimandi silvestri e di macchia mediterranea, note di acciuga e accenti vulcanici, ritmo e naturalezza espressiva. Insomma, una delizia: carnoso e nervoso insieme, forse il più buon Piedirosso mai bevuto fin qui.
Il giovane Vincenzo Di Meo della Sibilla è un freshman da seguire con attenzione, una point guard alla Yogi Ferrell. Esordiente nel circuito del vino d’autore, ma con esperienze già significative maturate a Mendoza (Argentina), Di Meo ha proposto in assaggio un Piedirosso 2011 da Vigne Storiche molto elegante nei toni floreali delicatamente appassiti, dalla bocca sapida, aggraziata e tutta in sottrazione. Non è forse il più reattivo dei Piedirosso, ma possiede un tocco lieve e gentile e una convincente dinamica gustativa da peso leggero (del resto anche Ferrell è solo 1.80 per 75 kg).
A chiudere la terna delle cantine Flegree, la Contrada Salandra di Giuseppe Fortunato: il suo istinto da vignaiolo rimanda a quello scoring istinct che finirà per valere a Cody Zeller una chiamata nelle prime tre al prossimo draft Nba. Poco importa se il suo Piedirosso 2011 sia ancora un po’ grezzo e tenda a disperdere le note aromatiche più delicate della varietà per colpa di un’estenuante macerazione, prolungata per quasi un mese. Il talento viticolo di Giuseppe (anche appassionato apicoltore) non si discute e c’è da credere che nelle prossime vendemmie questo rosso finirà per accorciare ancor più le distanze dall’eccellente Falanghina, bianco da All Star Game che ha già sfoggiato il carattere e l’allungo del fuoriclasse.
[continua]