Specie reietta

doctor magician

di Raffaella Guidi Federzoni

Trattandosi questo di luogo accademico, gli argomenti spaziano in tutti i campi della conoscenza. Oggi vorrei dedicarmi allo studio approfondito ed aggiornato relativo ad una specie ormai reietta nella sua forma originaria, e costretta a mutazioni genetiche profonde per sopravvivere. I troppo precipitosi son già lì che scandiscono “Giornacritichista”, ma li devo deludere. Del futuro esistenziale di tale specie se ne è già trattato qui ed anche altrove.

La mia attenzione analitica è invece diretta a ben altra categoria umana, una volta indispensabile ed ora non si sa, di una figura professionale costretta al camaleontismo per garantirsi una seppur umile sopravvivenza: l’ENOLOGO.

Una tempo era tutto più semplice. Il consulente specializzato in enologia seguiva e controllava le varie fasi evolutive che portavano il succo d’uva a trasformarsi in vino. Nessun miracolo di richiamo evangelico, solo competenza ed attenzione.
Nell’era moderna enozoica, c’è stata la prima evoluzione: l’enologo si è in parte spogliato della sua mera connotazione di tecnico specializzato per indossare le vesti di doctor magician. Corredato di ricette mirabolanti ha girato tutti gli angoli del globo enoico per curare vini sofferenti. Chiamato da nuovi ricchi a decidere quale formula magica fosse necessaria alla creazione rapida di prodotti incantevolmente modaioli.

Inutile dire che la cerchia degli stregoni era ristretta a qualche nome, la maggioranza continuava il loro lavoro umilmente e nell’anonimato, ma per il vasto pubblico dei consumatori e, ahimé anche per la generazione di critici e wine writer rampanti, la domanda chiave era “Chi è il vostro enologo?”. Metto le mani avanti e mi scuso con i rappresentanti alterati della categoria giornacritischista, ci sono sempre state delle eccezioni, però allora era così, per la qualità da premiare nel vino contava di più il nome dell’enologo della posizione delle vigne.

Arrivati all’era enozoica contemporanea, è avvenuto un ribaltone. La figura dell’enologo non è più da premiare, ma da evitare come la peste bubbonica. Al massimo si può mettere alla gogna e tirargli pomodori rigorosamente biologici. Le sue capacità sono ora considerate stregoneria, la sua consulenza mefitica.

Al grido di “Chi fa da sé fa per tre” si arrembano sulle barricate produttori d’avanguardia che hanno studiato anche enologia. Brave persone che considerano una vergogna avvalersi di un consulente esterno quando già posseggono loro la scienza. Conoscono il linguaggio delle loro viti e non vogliono intromissioni.
A loro va la mia ammirazione. Ammiro meno chi non sa di non sapere. Ancora di più mi danno fastidio i seguaci della Nuova Dottrina anti-tutto a parte la Natura incontaminata. Se in un qualsivoglia vino si legge la mano dell’enologo, quel vino va reietto a priori.

Gli unici esponenti che non solo sopravvivono, ma continuano a campare benissimo, sono quelli in grado di mutare la pelle e anche qualcosa di altro. Sono gli enologi multi task , in grado di coprire tutti gli aspetti delle attività legate al vino. Non solo la produzione, ma la promozione, la commercializzazione, persino gli investimenti finanziari, i cambi di proprietà, la ricerca di nuovi investitori. Sono bravi a gestire una squadra di loro collaboratori, infilati in quella o quell’altra azienda. Ti sanno dire chi assumere come responsabile commerciale, quale ufficio stampa contattare, quale corso di lingua straniera seguire. Ti aiutano a creare un’azienda chiavi in mano. Se poi, dopo qualche tempo la collaborazione non funziona, affari tuoi, in fondo loro si occupano di vino, non di business.

Nel mezzo c’è la virtù dei tanti, gli sherpa del vino, gli sconosciuti frequentatori quotidiani di cantine e vigne. Persone pagate anche poco che devono stare attente a non sputtanare botti e vasche di vino, che devono seguire l’imbottigliamento di migliaia o centinaia di migliaia di bottiglie e riportarne tutti i passaggi su infiniti registri. Uomini e donne preparati a stare la notte alzati perché è il periodo post vendemmiale e con certe temperature non si scherza. Professionisti seri che sì, conoscono il mercato e certe leggi anche spietate, ma a cui viene chiesto soprattutto di fare il loro di lavoro, e che se va bene nessuno ti dice grazie e ti premia, se invece va male vieni cambiato con qualcuno di altro, tanto il tuo nome chi vuoi che se lo ricordi.

6 commenti to “Specie reietta”

  1. Niente di nuovo sotto il sole, anzi sotto la pioggia, considerando il clima di questi ultimi 44 mesi: come in tutti gli altri mestieri di enologi ce ne sono di bravi, di incapaci, di simpatici, di geniali, di insopportabili, di cornutissimi. Queste ultime due varianti in verità piuttosto diffuse.

  2. W Patricia Toth e Arianna Occhipinti

  3. Pienamente d’accordo, anche perchè il corso di laurea non è in Enologia solamente ma anche in viticultura, e il vino si fa in vigna, in cantina si evita solo di non farlo diventare imbevibile o aceto.
    Per Piddusan: questi due nomi io li metterei nella categoria multi-task… con alcuni dubbi però sulle loro attività reali in vigna e cantina.

    Saluti da uno sherpa!

  4. A chi dice :’Non è il vino dell’enologo, oppure che il problema dell’enologo lo ha eliminato alla radice dico che mi dispiace per loro Se si ragiona così in maniera settoriale , senza rispetto della professionalità delle persone , non si va da nessuna parte.

  5. Io sono un dinosauro, e mi attengo al vecchio concetto che l’enologo è professionista specializzato che aiuta l’imprenditore. In natura l’asino, il ciuco e tutti gli altri ibridi sono sterili, per cui direi che anche quelli tra enologi e altre mestieranze non dovrebbero produrre alcunché di buono.

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