Interessante disquisizione, su infravino, circa ciò che è buono e giusto e ciò che non è buono e giusto nella descrizione di un vino. Diamo il nostro contributo accademico riportando uno stralcio di conversazione internettiana risalente a ieri tra un alterato e il non pareggiabile Maestro Federico Maria Sardelli. Con il consenso delle parti, ovviamente.
Maestro Sardelli [abstr. part. prec.] era buonissimo, elegante, sàpido, robvsto, con lievi sentori di pianerottolo e note di piastrellato monocottura, rimandi fruttati in cui si distingueva la mammola frusona, il taràssaco lupigno e, squadrato sul mezzodietro, il solenne crespìgnolo allapposo della Syla. Il retrogusto si presentava azzimato e guardingo, restituendo ampie note di rendicontazione fiscale e sentori di laterizio tavellonato del 12, però solo sul lato destro; il lato sinistro si rivelava in sordina, timido ma gorgoglione di rimandi esotici speziati, come la forfora del Galles, il guacamole pitonato della Garfagnana, lasciando da ultimo, sulla volta palatina, un gradevole e persistente sentore di FIBROCEMENTI ALTOPASCIO. Come non esserrne felici?
Faro mi compiaccio per haver Lei còlto il raro e sfuggente sentore di forfora del Galles (solo i fuoriclasse della degustatione ci arrivano)
Maestro Sardelli La Forfora del Galles è la migliore. Io me la faccio arrivare nelle tradizionali scatolette di latta sbalzata con l’effige della Regina Madre. Alcuni preferiscono la forfora brètone, ma non capiscono un cazzo.