di Raffaella Guidi Federzoni
Dalla finestra sulla destra di questa camera di circa quattordici metri quadrati entra una luce scarsa che non mi fa capire se fuori c’è il sole oppure no.
Oggi.
Oggi a New York City, all’undicesimo piano, 8th Avenue fra la 44th e la 45th.
Ieri mattina a quest’ora aspettavo il traghetto per il New Jersey, con grande anticipo grazie alle raccomandazioni ansiolitiche del manager vinoso di turno. Ero lì a pensare dove trovare un caffè decente nel raggio di due chilometri quadrati, quando ha cominciato a fioccare. Fiocchi di neve ghiacciati portati in giro da un vento gelido.
Non ha più smesso. Quattro ore e mezzo più tardi approdavo a Penn Station dopo una mattinata quasi buttata via a causa della neve insistente, abbondante, esagerata che continuava a cadere. Ho scritto “quasi buttata via”, perché almeno ero riuscita a visitare una paio di enoteche in Mid New Jersey e piazzare qualche cassa di vino.
Penn Station si apre sull’Ottava e 33esima strada, circa un chilometro al sud del mio albergo, stessa strada. Percorrerlo a piedi è stato come entrare in un film che raccontava della peggiore tempesta di neve della mia vita. È così che lo rivivo oggi.
Oggi.
Fra poco scendo, in effetti c’è un poco di sole, il vento è calato. Cappello, sciarpa. guanti, stivali. Ho il primo appuntamento sulla 53esima, fra la 2nd e la 1st. Una mezz’ora scarsa a piedi da qui. La prima mezz’ora di oggi sui marciapiedi.
Oggi.
Tante città hanno marciapiedi, nessuna li ha come NYC, a Manhattan partendo a nord da Upper West/East Side, per finire a sud oltre Tribeca. Marciapiedi calpestati da un milione di persone più una, che sono io.
Se qualcuno fra le mie conoscenze o fra gli scarsi lettori di codesto blog alterato ancora si domandasse come riesca ad assicurare un tenore di vita dignitoso alla mia famiglia, questa è la risposta. Battendo i marciapiedi. Qui più che altrove.
Accompagnata da un venditore con in spalla una borsa speciale contenente sei bottiglie, vado a trovare clienti, vecchi e nuovi. Comincio la mattina con le enoteche e continuo con i ristoranti fino al tardo pomeriggio. Sempre su appuntamento, nessuno o quasi ti riceve se prima non è stato avvisato. Sono tutti impegnati, affaccendati, frettolosi. Oppure indolenti, svogliati, noncuranti. Ce ne fosse uno che si dimostri contento della vita. Da queste parti la felicità è solo sugli enormi schermi di Times Square. Oggi più che mai.
Oggi.
La giovane venditrice che mi accompagna non ha tempo di chiedersi se è felice, è troppo occupata a marciare di fronte a me con il passo di quella che si macina di corsa cinque miglia la mattina prima di andare al lavoro, e poi scala qualche montagna il fine settimana.
È veramente molto simpatica e brava, stiamo lavorando bene, nonostante il vento che ha ripreso vigore e la neve che ricomincia a svolazzare. Non c’è stato un posto dove non siamo riusciti a vendere.
Io amo i miei vini e ne so parlare. Amo anche chi vive in questo mondo e non lo disprezza. Amo i ristoratori che aprono nuovi ristoranti e quelli che fanno andare avanti i vecchi. Amo questo quarantenne dai lunghi capelli che se ne sta nella sua enoteca, curatissima, ma senza riscaldamento “tanto alle bottiglie un po’ di freddo non fa male” con il quale mi intrattengo per mezz’ora parlando dell’Italia che ha visto e di quella che ancora vuole vedere.
Amo sedermi da un cliente che ha comprato e ha messo i vini in carta. Amo persino mangiare versioni avventurose ed azzardate della cucina “italiana”. Amo che mi si chieda da dove vengo solo per dirmi da dove sono venuti i loro genitori o nonni.
Amo riuscire a capire dove mi trovo, in quale numero di strada, quanti isolati mancano al prossimo appuntamento, da queste parti è così facile, tutto dritto, senza curve o tortuosità.
Dopo quindici anni di marciapiedi amo ancora essere qui, a dare un senso al mio lavoro e a quello di chi ha curato il vino che mi porto in giro. Anche oggi che fa un freddo cane, che il vento mi taglia quel poco di faccia esposta, che ho gli stivali infangati di neve sporca, quella neve cittadina per niente romantica, e non c’è un lustrascarpe a pagarlo oro.
Oggi, che ho venduto bene, che i vini hanno fatto un figurone, che mi sono arrivati messaggi da al di là dell’Oceano. Stasera sarò a cena in un ristorante carissimo sperando che il sommelier finalmente metta il mio Brunello in lista, considerando il conto che dovrò pagare per questo.
Oggi, che è il mio compleanno.