di Shameless
Chi ci crede più? Voglio dire chi ci crede ancora, oltre ai gay maschi e femmine, i preti – che però a loro non tocca – e qualche vecchia zia zitella così si compra un cappello nuovo? Chi se la sente di dire “Sì” e non “Forse” davanti agli uomini/donne/bambini e – persino – davanti a Dio?
Chi ha voglia di sfidare le statistiche che lo vedono in calo da anni?
Tanta gente, sissignore. Per esempio, una coppia di amici che il giorno dopo San Valentino ha investito sei minuti per confermare che loro, sì, erano convinti di provarci a vivere insieme, nella gioia e nel dolore e nel mare di rotture di coglioni grandi e piccole che infestano la vita di tutti i giorni.
Rinunciando ad una parte della loro libertà individuale, incatenandosi emozionalmente e legalmente l’uno all’altra.
Il matrimonio civile non ha niente della magia e coinvolgimento di un matrimonio religioso. Come ho scritto sopra si svolge in pochi minuti, mentre un’altra coppia aspetta dietro la porta. Costa anche molto meno, e di questi tempi non è poco. È però sempre un’affermazione di coraggio. Va quindi celebrato adeguatamente.
Così è stato.
Con tutti gli ingredienti necessari, oltre agli sposi. Ragazzini scalmanati, le due consuocere eleganti e sufficientemente cordiali l’una con l’altra. Il fratello dello sposo affascinante e affascinato da un ambiente fricchettone in salsa rustico-toscana. Qualche panza presagente prossime maternità, compresa quella della sposa. Amici e amiche parlanti due o tre lingue simultaneamente. Colonna sonora nostalgicamente anni Settanta.
E soprattutto, tanto vino.
Vino rosso di queste parti ilcinesi. Facile, la festa era nella sale di solito usate per degustare seriamente i vini aziendali. Facile, i bicchieri erano giusti, ampi e senza odore. Facile, gli spazi larghi abbastanza per sedersi o ballare. Facilissimo ballare dopo un paio di bicchierate di Rosso o Brunello. Quando il vino è questo, è facilissimo credere che sì, sarà possibile vivere una vita insieme.
Quando il vino è questo è facile mettersi a disegnare il viso di qualcuno dei presenti. Lo sposo è un pittore, lo è anche il generoso produttore ospitante il wedding party. Indi per cui su di una parte campeggiava una tela grandissima divisa in quadri bianchi. Naturalmente ho pensato ad un’opera d’arte concettuale, una di quelle di cui mi sfugge sempre il concetto. Per fortuna l’ho solo pensato.
Rinvigorita dal Sangiovese purosangue, ho impugnato matita e pastelli e ho disegnato. Ne è venuto fuori un viso spaziale, più simile a David Bowie Ziggy che a chi avevo in mente. In effetti, molto concettuale. Niente in confronto a quella che sarebbe dovuta essere la MIA raffigurazione da parte di chi mi frequenta ormai da decenni. Nel caso, un disegno simil-impressionista che mi ha fatto una cattiva impressione.
È stato in quel momento che ho realizzato perché mi piacciono tanto i matrimoni degli altri. Perché non sono il mio.
Il tempo di realizzarlo e poi dimenticarlo è stato brevissimo, grazie all’entrata in scena della torta, accompagnata da una magnum di Champagne. Non uno champagne banale, ma un Panzer Divisonen della categoria. Un diciottenne in piena maturità di colore, naso e beva. Oro pallido e luminoso, sentori di nocciola, pane biscottato, agrumi e quel tocco di pannolino pisiciato da infante che non manca mai nel repertorio di uno Champagne di razza. In bocca bello pieno, croccante e masticabile, con lo scatto del mezzofondista alla fine di una corsa calibrata.
Con la torta non c’azzeccava niente, per cui fra i due ho optato per il secondo.
Bruno Paillard, Cuvée Le Mesnil 1995. Grazie Monsieur Brunò, sei riuscito di nuovo a farmi più che apprezzare una tipologia che non è fra le mie preferite. Sei riuscito ad ammantare di luce dorata e polverosa la sala, le persone, il sorriso radioso degli sposi, il pessimo ritrattista al mio fianco e la notte di luna piena.
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