di Raffaella Guidi Federzoni
“Costa troppo.” Due parole che cadono nel silenzio freddo di un ristorante chic a Miami. Silenzio perché siamo assorti nella degustazione del mio vino principale e freddo perché l’aria condizionata è sparata a mille come sempre da queste parti.
“Costa troppo.” A pronunciarle è un ragazzo sbarbato di fresco, snello e con un’onda di capelli folti e scuri ben sistemata sulla fronte liscia. Un ragazzo italiano, che lo possino!
“Costa troppo.” ha detto, lanciando un’occhiata complice al suo diretto superiore, il quale sta lasciando proprio in questi giorni le redini delle decisioni di acquisto ad uno stronzetto che potrebbe essere mio figlio, ma meglio di no, perché nel caso sibilerei “non dire idiozie”, serrando le mani per non mollargli uno sganassone.
“Costa troppo.” ha detto. Non le solite scuse per non comprare, tipo “non ho spazio nella lista dei vini per il momento, prima devo fare fuori quel che è rimasto della concorrenza, passa fra un paio di settimane”, o “è un momento morto, passa fra un paio di settimane.”
No, ha detto proprio “Costa troppo.”
Lo ha detto perché è un pischello novellino, da poco assunto in questo ristorante chic, con mansioni di responsabilità che non aveva nel ristorante precedente, dove si arricchiva di mance facendo il cameriere. Avrà studiato, fatto qualche corso da sommelier e, giustamente ambizioso, ora vuole ritagliarsi il suo spazio di autorità.
Lo fa a spese del mio vino, che no, non costa troppo, non costa mai troppo. Si dà il caso che il mio vino nella sua categoria sia universalmente riconosciuto come uno dei migliori, se non il migliore, per il rapporto qualità-prezzo. Lo dico senza falsa modestia, perché lo so.
Lo so che non “costa troppo”, anche con il ricarico dell’importatore e quello del distributore. Il mio vino costa il giusto. Ci pensiamo tutti gli anni quando prepariamo i listini per la nuova stagione, tastiamo cautamente il terreno con i nostri partner commerciali e decidiamo sempre di rimanere entro i confini sicuri di un prezzo che sia dignitoso, ma non presuntuoso.
Ma ora il giovanotto ha tirato fuori le parole sbagliate per imporre se stesso e la sua professionalità. Lo ha fatto perché è un maschio alpha con esuberanza da eccesso di testosterone e pensa che le palle si fortifichino con il mezzuccio del prezzo eccessivo.
Ed io che potrei essere sua madre, che ho pronte mille risposte per altre scuse, ma non per questa, sorrido. Sorrido come fanno le donne quando non sanno che cacchio dire, o sono imbarazzate, o capiscono che è meglio tacere.
Sorrido per non dirgli in un crescendo vocale esasperato:
“Costa troppo il mio vino? Costa troppo per un locale come questo che fa pagare un piatto di pasta scotta condita con una salsa improbabile più di 30 dollari? Costa troppo per la tua clientela media che parcheggia fuori automobili da oltre centomila dollari? Costa troppo per essere messo in lista con vini della stessa categoria dal prezzo due o tre volte superiore? Di che stiamo a parlare, del fatto che oggi ti sei svegliato e hai deciso di fare il capetto?”
Sorrido con un angolo della bocca più in su dell’altro. Il mio sorriso compassionevole, leggermente sprezzante, che sta a significare “hai perso la tua chance, non sto neanche a dibattere il tuo punto di vista, oramai non esisti più.”
Sorrido con lo stesso sorriso che avrei voluto avere diverse volte tanti anni fa quando un ragazzo mi diceva “rimaniamo buoni amici”.
Il mio sorriso sale ad avvolgere le parole “Costa troppo” che si sono sistemate come un gigantesco fumetto sopra le nostre teste. Siamo nel silenzio freddo di questo locale dai soffitti alti, dagli specchi grandi che riflettono il nitore del pavimento, la superficie lucida dei tavoli, l’argento delle posate, il biancore dei tovaglioli e la trasparenza dei bicchieri.
Poi Il venditore che mi affianca si schiarisce la voce ed esala “Vediamo un po’ cosa possiamo fare, come possiamo venirvi incontro”. Lo capisco, questo è un cliente importante, una vetrina, c’è un margine di sconto comunque anche se non platealmente rivelato.
Il giovanotto e il suo diretto superiore si rilassano, riassaggiano il vino, esprimono apprezzamento con i soliti mugugni. Io rimango la Regina del Disprezzo, l’Imperatrice dell’Indifferenza, la Galassia dell’Estraneità a trattative da mercato del pesce.
Quando usciamo sicuri che il vino “costoso” sarà presto in lista, il giovanotto mi dice lieto “Nel ristorante precedente vendevamo tantissime bottiglie del suo vino, è un prodotto che si vende da solo.”
Alzo la mano chiusa a pugno verso di lui e gli dico “Vero, ma tu insisti comunque!”
Il pugno si ferma a mezz’aria e si trasforma in un gesto di compiacimento, con il pollice in su.
In fondo è tutto un gioco che ho imparato a giocare piuttosto bene.