di Fabio Rizzari
Dopo dieci anni esatti dalla prima visita, nell’aprile del 2011 sono tornato alla Romanée Conti. Anche al domaine de la Romanée Conti, monastero rarefatto, sommo custode dell’ortodossia della Borgogna, si corre il rischio di una visita istituzionale, fredda, di quelle che si compiono spesso a Haut-Brion o a Latour.
Quella volta le cose si sono svolte diversamente. Con Aubert de Villaine, il gérant storico, abbiamo evitato di parlare solo di vino. Per questo motivo non trascrivo le note di degustazione dei numerosi gioielli della corona – dalle anteprime del 2009 a una carrellata di altri cru di altre annate di altri decenni – assaggiati quel giorno. Mi sembrerebbe uno sfoggio inutile da cacciatore di trofei. Faccio un’unica eccezione.
De Villaine ci parla della vita nel piccolo villaggio di Vosne, prima che divenisse l’epicentro delle attenzioni estasiate di tutti gli enofili del pianeta: divisioni familiari, proprietà frammentate, difficoltà economiche, culminate nel periodo della seconda guerra mondiale. Negli anni 40 qui si è continuato a fare vino, e sebbene il paese non fosse teatro di azioni belliche significative, per i vignaioli la vita non era certo facile. A questo punto, colto da ispirazione, de Villaine armeggia con un mazzo di chiavi e apre un piccolo cancello laterale, quello che immaginiamo sia il sancta sanctorum della cantina. Ne cava un flacone nudo, senza etichetta né altre scritte, nel silenzio attonito dei presenti la apre e ne versa un po’ nei bicchieri.
Alla luce fioca il colore non è ben leggibile, comunque è di sicuro molto evoluto, un granato dai riflessi ambrati. I profumi sono da subito espressivi, profondi, in magnifico equilibrio tra note della terra (humus, catrame), note più aeree (fiori appena appassiti), e sfumature affumicate, di spezie, castagna, cuoio. In bocca il vino c’è ancora, in un registro affaticato ma capace ancora di lampi di vitalità e slancio. Il frutto è caldo, dolce, vellutato, il finale netto e fresco.
“Un Richebourg del 1942 che abbiamo ricondizionato nel 1996”, scandisce a bassa voce De Villaine. “Penso ai vignaioli che hanno curato la vigna in quei mesi, a chi lo ha vinificato, e a mia madre, che è ancora viva, e che a 102 anni è ancora curiosa, legge tutti i giorni, è con noi. Questo Richebourg mi fa pensare a lei, il corpo ha perso vigore, ma l’anima del vino è ancora qui, con noi, e ci parla”.
Esatto. Questo Richebourg è ancora un vino, e non ci parla soltanto di vino.