di Fabio Rizzari
Insignificante polemica con un antipatizzante circa le mie perplessità sul “Rinascimento del vino” italico. Insignificante in generale, perché c’è ben altro su cui discutere di questi tempi; insignificante, in particolare, perché male interpretata. “Scusa eh, ma citi Monelli, Soldati e Veronelli, e poi dici di essere annoiato dagli aspetti umani e produttivi che stanno dietro un vino”.
Ho risposto e rispondo. Sono annoiato per sopraggiunti limiti di età, ma non svaluto certo la conoscenza di ciò che viene prima del vino, di chi lo crea, del posto dove nasce. Sarebbe negare comicamente che esistano la notte e il giorno.
Però smettiamola di considerare la triade Monelli/Soldati/Veronelli come un blocco unitario e coerente di idee e opinioni sul vino. Ormai è un riflesso automatico, se uno li cita è perché ritiene che avessero la stessa visione in materia: conosci chi il vino lo fa, calpesta la terra della vigna, respira il territorio, annusa i fiori, osserva le zolle, ascolta le api, lecca le foglie, eccetera.
Poi basta leggere. Ecco un passo illuminante di Monelli: “molti anni fa ebbi una piacevole controversia con Ugo Ojetti, il quale avendo recensito una poderosa opera di Arturo Marescalchi di G. Dalmasso, ‘Storia della Vite e del Vino’, pur protestandosi “quasi astemio” aveva scritto che ormai dopo la lettura di quei tre grossi tomi era certo di saper tutto del vino. Gli risposi dimostrandogli con begli argomenti che con quella lettura si sarà erudito sull’origine e sulla storia della vite; ma che del vino non sapeva ancor nulla, come nulla ne sapeva prima della lettura; poiché la scienza sul vino viene dall’interno e non dall’esterno.”
La scienza sul vino viene dall’interno e non dall’esterno.
Conviene leggerli i nostri tre lari domestici.
Non limitarsi a citarne il nome.
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