di Rizzo Fabiari
Hai voglia a pensare, e poi a commentare tra amici beoni, e poi a dire in pubblico, e poi a scrivere nei blogghe che i vini obesi sono tramontati. Che in Sudafrica spiantano chardonnay e piantano chenin blanc. Che perfino le più celebri firme d’Oltreoceano accennano timidamente ad abbassare i punteggioni dei rossi mangiaebevi mangiaemangia (magari da 97/100 a 95/100, ma sempre ad abbassare) e a togliere dal cassonetto e ad aumentare quelli dei vini agili, freschi, gastronomici (magari da 80/100 a 85/00, ma sempre ad aumentare).
La cruda verità, o meglio una delle verità del mercato attuale, ce l’ha messa davanti agli occhi plasticamente il buon Paolo Latini, uno dei responsabili dell’enoteca regionale Palatium di Roma, dove in queste ore svolgiamo gli assaggi dei vini laziali.
Provando un rosso nero e denso come la pece, oltraggiosamente strangolato dal rovere, immobile al palato come un ippopotamo immerso in un metro d’acqua, alla domanda: “ma da voi si vendono ancora vini così?” ha replicato con amarezza: “si vendono? vanno via come l’acqua. Non faccio in tempo a comprarlo, finisce subito e devo rifare l’ordinazione”.