di Armando Castagno
Con il caldo opprimente di quest’estate, l’idea geniale per una enovacanza veramente cool è l’Alto Adige. Montagne, fresco, natura, ospitalità, modernità. Imperdibile quindi il tour dei masi “bio”, i più interessanti tra i quali sono descritti in questa breve guida, che non ha pretese di completezza ma che si spera possa fornire un aiuto concreto agli Accademici in vacanza in cerca di vini e cibi buoni, tradizioni, storia, unicità. Disclaimer: se questo post vi dovesse sparire da davanti agli occhi, sapete con chi prendervela (vedi più sotto).
Klammerhof
È il celebre maso gestito dagli ex campioni dello sci degli anni Settanta, ormai degli arzilli settantenni. Ai fornelli Franz Klammer e Piero Gros, ai tavoli Gustavo Thoeni, Helmut Schmalzl e Corrado Barazzutti: si nega il posto a chi non riesce a dare la soluzione del “caccia all’intruso” proposto come quiz al momento dell’ingresso. Oltre ad un diafano vino dall’antico Weissmuriatikus in purezza la cui acidità ha portato alla peritonite alcuni camosci usati come cavie, questo maso produce shampoo nelle fragranze pino mugo, becchime, pera Williams e speck; la sua peculiarità consiste nel fatto che si mangia in equilibrio sugli sci mentre si piomba giù dal soprastante Gottberg/Pizzo di Dio (4700 metri), in genere formando con gli altri commensali una vasta e divertente valanga di circa 500 metri di fronte in larghezza e circa 250 km/h di velocità; se ancora vivo, chi non ha terminato il piatto una volta pervenuto di fronte al maso viene deriso in tedesco, e portato scherzosamente alla gogna per gli ameni paesi vicini (Unterhutten/Baracche di Sotto e Oberhutten/Baracche di Sopra). Poca dimestichezza con l’italiano: al nostro test linguistico (chiediamo a bruciapelo “può indicarmi dove sono i servizi, per cortesia?” facendo con le dita il segno della “v”) ci hanno risposto in tedesco “le quattro meno un quarto”.
Quondamhof
Un vanto per l’Italia: un maso diventato molto familiare soprattutto per gli italiani in vacanza in Alto Adige. Non si conosce una singola parola di italiano, come negli altri, ma è il posto in cui la comunicazione è più facile, perché il titolare, Johannes Plantagus Cynara coniugato Schützle, è l’ultimo rimasto di una popolazione antico-romana stabilitasi in zona sotto Vespasiano, e quindi vi si presenterà in tunica e vi si rivolgerà in latino: “Quid manducare vis, quid bibere?” E voi: “Quid habes?” E lui: “Solitum, doctor. Venter localis suillae fumosus, pallae panis multo cum allio, cervus cum trigonella, lapidosus panis, vinum furtive correctum cum foeniculo”1. Il vino sarebbe anche interessante, ma un suo completo apprezzamento è reso meno semplice dall’aggiunta, come tradizione del maso pretende, di garum di calamaro, acqua di porto, fiele, cenere di Gauloises, carapaci sbriciolati di armadillo e un tocco di brodo ristretto di carpa giapponese. Unica valuta accettata è il sesterzio di diorite, che se non sapete come ottenere potete scolpirvi da soli in un paio d’ore. Come risposta al nostro test ci hanno portato in visione la gabbia degli armadilli.
1 “Il solito, dottó. Speck, canederli con un fracco d’aglio, cervo al fieno, pane duro, vino infinocchiato”.
Grissinhof
Maso attestato già dal sec. XII e raggiungibile o in mongolfiera, o per mezzo della ripida provinciale SP666 che da Bolzano sale in tre chilometri ai 3.340 metri dello Ziokarenberg/Cima Bestemmia: tra il km 1,8 e il km 2,4 è necessario fissare una lapide sul cofano anteriore per evitare di rovesciarsi all’indietro e tornare per gravità al casello di Egna-Ora. Il Grissinhof produce un vino più chiaro dell’acqua e con acidità fissa tale da forare il linoleum fischiando, ma con rilevanti prospettive di maturazione; produce altresì grissini al sesamo con caratteristiche peculiari, che ne sconsigliano l’assunzione in numero superiore a uno a settimana. Il grissino, a base di pane di segale pressato, paprika, latticello, grasso di foca, zampetti di maiale, polvere da sparo, succo di crauti e uova cotte di struzzo, lascia una scia come un fuoco fatuo se agitato, e ha numero atomico 92: reagisce con l’acqua rilasciando anidride carbonica, sale di magnesio e bromuro d’argento, e in pratica, se immergete di colpo un grissino in un bicchiere d’acqua, vi scattate una foto col flash: questo rende il maso un autentico “must”.
Silvanhof
Ecco dov’era finito il mago Silvan: a gestire questo bello e antico maso, del quale si dice abbia dato il nome al Silvaner. Tutto qui è assolutamente ecosostenibile: in cantina non si aggiungono lieviti, non si aggiungono enzimi né attivanti di fermentazione, non si aggiungono tannini e per la verità nemmeno mosto: il vino si forma dentro le botti da solo al “sim sala bim” del titolare. Nel piacevole dehors estivo, a picco sulla vallata, su una terrazza sospesa per levitazione (bonus) vi verrà proposta una sfiziosa merenda a base di capocollo di talpa, ciccioli di cinghiale al piombo, speck di lama, polpettone ovale di peperoni, lardo e uova, canederli di tacchino anziano al burro di balena; lo trovaste appena pesante, ecco che Silvan può trasformarvelo in un fagiolo borlotto con la sola imposizione delle mani. I vini? Splendidi, a cominciare dal “vino frutto” A. A. Gewurztraminer “Otelma”, il trebicchierato A. A. Cabernet “Kopperfeld”, il pentagrappolato A. A. Pinot Bianco “Jukas” e l’A. A. Sauvignon “Mandrake”, in lizza per il Nobel per la medicina. Si mangia gratis se si sorteggia l’asso di cuori da un mazzo di 52 carte (altro bonus); non è mai successo. Positivo al nostro test: ci hanno risposto “prego, mi segua”, scortandoci in giardino e facendoci apparire davanti agli occhi una latrina con tanto di asse di legno per scacciare i lupi nel mentre che uno sta in der posto.
Mirellhof
Chiudiamo con il maso più “in” dell’Alto Adige, frequentatissimo anche dai VIP del mondo del vino. Effettivamente ha qualcosa di diverso dagli altri: sembra il chiosco di un grattacheccaro, con struttura quadrata, tende a strisce bianche e rosse, un’orgia di bottiglie di sciroppo in bella vista, un freddo da galera che ne promana, e la Sora Mirella dietro il bancone ad agitare mani grandi come due giostre: l’imitazione è perfetta (bonus). In un pranzo di maggio abbiamo provato granite, sciroppi, granite con sciroppo, sciroppo alla granita, ghiaccio puro, tutto con ingredienti freschissimi e a chilometri zero (doppio bonus). Unica avvertenza, siate preparati a modi un po’ bruschi (ogni quattro avventori uno riceve la granita direttamente in testa: prendetela a ridere se no vi gonfiano). Si parla un bizzarro dialetto ladino-roman-tirolese, che è inutile cercare di capire (“Ahòö” “Deké?” “Makævvöi?” “Kaßöteßtaiamagnà?” “Manvedjqueßtæhö” “Ancörantanawàj?” “Macellæinakaßa?”). Al nostro test ci hanno mandato all’ospedale a forza di sveglie.