La citazione del titolo è attribuita a Giulio Cesare e ripresa da Napoleone Bonaparte. Se non è vero, è verosimile. Entrambi i personaggi erano soldati, prima che condottieri. Conoscevano la guerra nella sua realtà, nessuna poesia. Erano amati dai loro uomini più semplici, odiati dagli avversari di pari grado. Hanno vinto e perso battaglie, sono morti male. Rimangono nella storia. Ai loro tempi la guerra era una questione di numeri e astuzia, se il nemico aveva più soldati bisognava trovare un modo per sorprenderlo. Non c’era tecnologia, solo carne umana e qualche daga, o catapulta, o cannone. Più i cavalli, meravigliosi animali sulla cui groppa si accomodava il deretano dei comandanti, mentre agli umili toccava camminare trasportando armi, e i muli a cui credo gli alpini in tempi recenti abbiano dedicato un meritatissimo monumento.
Insomma la guerra nei secoli è stata una costante nella vita di un uomo, inteso come maschio, per la possibilità di andarsene da casa molto giovane a morire in qualche campo straniero,e in una donna, intesa come femmina, per la probabilità alta di restarsene ad aspettare nella condizione di fidanzata-moglie-madre e cercare di sopravvivere.
Che c’entra il vino?
Eccome se c’entra, abbiate pazienza. Siamo tutti figli dell’Europa e del Mediterraneo. Gran parte di noi ha conosciuto la guerra solo dai racconti dei famigliari più vecchi, o da certe letture. Fra i libri più belli del mondo di sempre ci sono quelli che hanno la guerra come argomento centrale, non l’amore. A cominciare da Omero. La nostra fortuna e speranza è che rimanga così, che l’orrore e la miseria della guerra siano solo leggibili e non vivibili.
Il vino è anche parte della nostra storia e della storia di guerre passate. Non quelle moderne in cui le armi intelligenti hanno sostituito i cannoni ed i fucili, in cui pasticche ed eroina sono diventate il sostentamento dei combattenti. Un tempo era il vino il carburante per unire gli uomini semplici mandati al macello, umile servo degli umili. Il vino, cercato e rubato da tutti i soldati che si trovavano a passare in un luogo di guerra. Chi ha vissuto il passaggio del fronte durante la seconda guerra mondiale ancora se lo ricorda, in Francia come in Italia. Tante bottiglie preziose finite nelle gole del nemico che si ritirava o dell’amico appena arrivato.
La guerra è affare da uomini, noi donne abbiamo un altro compito e destino. Possiamo però amare in egual misura le parole scritte per capire cosa è successo a chi abbiamo aspettato, Partito in un modo, tornato in un altro. Parole come queste, scritte da un autore che per me è fra i grandi della letteratura italiana del secolo scorso. Un uomo che sa raccontare la guerra, la campagna, il bosco, la caccia e il vino.
“…Abbiamo acceso un gran fuoco, ci stiamo attorno a cerchio e ogni tanto ci voltiamo per scaldarci da tutte e due le parti. Si chiacchiera e il vino è l’argomento principale. – Quando sarò a casa voglio fare il bagno in una botte di vino, – dice Antonelli. – E io mangiare tre gavette di pastasciutta, – aggiunge Bodei (si è dimenticato oramai che a casa si mangia nel piatto), – e fumare un sigaro lungo come un alpenstock -. Serio e convinto, guardando il fuoco, Meschini dice: – Fare una sbornia di grappa e liquefare con il fiato tutta la neve della Russia-.Ma ogni tanto si sta zitti e lassù continuano a sparare. – Sparano, – dice Antonelli, e bestemmia. – Tourn! – grida, battendogli una mano sulla spalla: – e bute e mezze bute, Barbera e Grignolin! – E Tourn alza la testa, gli occhietti da scoiattolo sotto il passamontagna si accendono: – Basta ch’el sia da beive, – dice.”
(Mario Rigoni Stern -Il sergente nella neve – Edizioni Einaudi . – 128 pagine).