di Raffaella Guidi Federzoni
A volte, così per caso, proprio quando cerchiamo tutt’altro, ci capita di trovare parole scritte da insospettabili che ci fanno esclamare silenziosamente “È proprio così!”.
Mi è successo recentemente, immersa nella lettura di un’autrice che non è in cima alle mie preferenze e che ho sempre avvicinato con un certo pregiudizio. Troppo fredda, razionale, categorica. Troppo di moda, troppo citata. Troppo inglese. Per questo l’avevo scelta come compagna di uno dei miei viaggi, invece di trovare conferme in chi sapevo essere perfettamente in sintonia con i miei gusti. Ci vuole una sfida per tenersi svegli e attenti senza sprofondare nel torpore di un volo sempre lungo.
Confesso che l’altro motivo della scelta era l’ingombro relativo del libretto, poco più di cento pagine. Mi piace viaggiare leggera. Ogni tanto mi fermavo e rileggevo, non perché non avessi capito, ma per riassaporare alcune parole, messe in fila come tanti soldatini in marcia vittoriosa.
Come queste:
“Nel frattempo i bicchieri avevano balenato di giallo e di cremisi. Si erano svuotati. Erano stati riempiti. In questo modo si era gradualmente accesa, nel mezzo della spina dorsale, dove risiede l’anima, non quella piccola e dura luce elettrica che chiamiamo brillantezza, che viene e va dalle nostre labbra, ma quello scintillio più profondo, sottile e sotterraneo che è la ricca fiamma solare di una conversazione ragionata.. Senza urgenza di affrettarsi. Senza bisogno di sfavillare. Senza necessità di essere qualcuno se non noi stessi.”
Virginia Woolf – A Room of One’s Own
La traduzione è mia, quindi imperfetta, ma spero che renda il senso della compagnia discreta e baluginante di un calice di vino, quando si ha tempo di assaporarlo.