di Raffaella Guidi Federzoni
Questa sera no, non mi va di scrivere sulle sorti magnifiche e progressive del vino, dei suoi fautori e dei suoi cantori. Questa sera sono stanca delle solite schermaglie verbali, volte ad affermare il mio punto di vista alterato.
Ho chiuso un libro che mi ha tenuto col fiato sospeso durante l’ultimo viaggio, un romanzo letto quarant’anni fa e ripreso in mano nella versione originale. La lettura mi ha meravigliato in positivo. Quello che a suo tempo mi era sembrato uno scritto interessante per l’intreccio e la leggerissima vena erotica ora mi ha colpito per la qualità di scrittura e anche l’originalità del personaggio letterario rispetto a quello che è diventato il suo equivalente cinematografico.
Sto parlando di Bond, James Bond. Più di lui però è interessante il suo creatore, Ian Fleming, uno scrittore vero. Se un giorno lontano, diciamo fra mille secoli, ci sarà qualche alieno interessato a quello che è stato il mondo occidentale del ventesimo secolo, ebbene, dovrà per forza consultare gli scritti di Fleming. Oltre a quelli di Simenon. Entrambi questi autori hanno rappresentato senza pompa e senza arroganza un tipo di letteratura “popolare” sublime. Nel senso che a leggerli non sono stati solo professori e studenti di facoltà umanistiche, ma soprattutto gente normale che viaggiava in autobus e voleva qualcosa di decente da leggere prima di spegnere la luce.
Di tutti e due ci rimangono le figure eccelse del Commissario Maigret e di 007. Mentre il primo conduceva un’esistenza piccolo borghese risolvendo crimini con al fianco una moglie impagabile, il secondo insisteva a salvare il mondo libro dopo libro. E nel farlo attraversava indenne pericoli ed avventure amorose, non si sa quale delle due cose la più improbabile.
Di tutti e due ci sono state proposte versioni televisive e cinematografiche. Nel primo caso con interpreti sempre molto all’altezza del personaggio, nel secondo con attori a volte molto risibili. Per questo mi sono meravigliata di come James Bond, l’originale, sia estremamente più affascinante. Ancora più affascinanti sono i suoi antagonisti e su tutti Auric Goldfinger.
Leggete cosa fa dire a quest’ultimo Ian Fleming, un’affermazione che in un certo senso anticipa tanti estremismi odierni riguardo all’alterazione del bere. Tenete presente che il libro è stato pubblicato la prima volta nel 1959: Tenete anche presente che la traduzione libera è la mia.
“Riguardo al bere, io sono una specie di chimico e devo ancora trovare un liquore che sia libero da tracce di diversi veleni, alcuni dei quali mortali, come alcol amilico, acido acetico, etilacetato, acetaldeide e furfurolo. Una dose importante di qualcuno di questi veleni, presa pura, uccide. Le piccole quantità che si possono trovare in una bottiglia di liquore producono spiacevoli effetti collaterali, ascrivibili come “postumi di una sbornia”… dato che lei è un bevitore, Mr Bond, le do un consiglio utile. Non beva mai il cosiddetto brandy Napoleon, specialmente se viene presentato come “invecchiato nel legno”. Questa pozione particolare contiene la maggior parte dei veleni che ho nominato in maggior quantità di qualsiasi altro liquore da me analizzato. Dopo di esso viene il Bourbon invecchiato .”
Dopo aver letto ciò, sono stata ancora più contenta della vittoria di James Bond il bevitore seriale, su Goldfinger l’astemio.
Ps faccio presente che nel libro “Goldfinger” James Bond non beve neanche una goccia di quello per cui è diventato famoso, cioé Martini Dry, Champagne Taittinger e Chateaux Mouton Rotschild, per quest’ultimo bisogna aspettare “Diamonds are for ever”.