Alterazione è voce del dizionario con accezione spesso dalla sfumatura negativa, poiché trattasi di cosa che modifica un equilibrio precostituito considerato la normalità. Alterazione ha in se la parola latina alter(-a-um) traducibile come “altro, uno dei due” la cui espressione indubbiamente più interessante è “alter ego” (altro io) ad indicare un altro sé, una seconda personalità o persona ma che nasce essa stessa all’interno di un soggetto. Pare quindi che alterazione indichi una anomalia insita nel soggetto o nella situazione naturale nella quale si esprime. Tuttavia ciò che è più facile e “normale”, spesso risulta avere meno fascino.
Ad avvalorare l’importanza intrinseca dell’idea di alterazione c’è la teoria musicale, secondo cui la scala, ovvero la sequenza tonale delle 7 note in successione ascendente o discendente comprese nell’ambito dell’ottava (tradizionalmente da DO a SI), è detta naturale quando possiede un’intonazione che la rende melodiosa e piacevole alle nostre orecchie. Ma contrariamente a ciò che si potrebbe immaginare, proprio per arrivare ad avere una “scala naturale” il percorso è stato lungo e accidentato. Nel medioevo infatti era stata adottata – per la semplicità della ciclicità dei suoi intervalli – la scala di origine greca nata grazie a Pitagora, detta scala diatonica (fatta di 5 toni e due semitoni all’interno di una stessa tonalità).
Tuttavia questa teoria fu presto integrata con l’introduzione della scala cromatica, ovvero la successione delle 7 note “normali” e delle relative 5 alterazioni necessarie a comporre una nuova scala di 12 suoni e fondamentali per aumentare la capacità di scrivere note estranee alla tonalità di impianto. Se questo bastava a livello teorico, non era lo stesso a livello pratico, poiché il sistema pitagorico soddisfaceva le esigenze della composizione monodica o dei primi esperimenti polifonici basati su accordi di quinta e di ottava, ma non il nuovo uso degli intervalli armonici di terza e sesta, introdotto nel XV secolo.
Accadde che, poiché gli strumentisti trovavano poco consonanti gli intervalli di terza nella scala pitagorica, gli strumentisti andarono per tentativi alterando gli intervalli di quinta di questa scala per ottenere la stessa consonanza fra gli intervalli di terza maggiore. Così iniziarono a modificare l’accordatura dei loro strumenti, e in particolare per gli organi iniziarono a “temperare” le quinte, accordandole calanti allo scopo di ottenere terze maggiori più consonanti. Fu allora che un certo Zarlino, che nella sua opera Istitutioni harmoniche del 1558 teorizzò l’uso degli intervalli consonanti della scala naturale, aggiungendo alle quinte e quarte pitagoriche, le terze maggiori, restituendo la massima purezza al suono con un sistema di dodici toni e, di fatto, inventando la moderna armonia tonale, basata su due modi, il maggiore e il minore.
Questo consentì di scrivere musica polifonica con armonie più ricche di sfumature, rendendola più completa ed interessante. In pratica l’introduzione delle alterazioni e della teoria della scala Zarliniana consentì una rivoluzione, anche se poi la sua teoria fu messa in discussione nuovamente dal matematico fiammingo Simon Stevin, che creò una scala basata sulla divisione dell’ottava in dodici semitoni uguali, basandosi quindi sul temperamento equabile, fondato appunto sulla suddivisione dell’ottava in intervalli tra di loro uguali.
Questa teoria è arrivata ai giorni nostri grazie alla sua più grande testimonianza di efficacia, l’opera Il clavicembalo ben temperato di Johann Sebastian Bach. Questa fu la prima opera che esplorò nella pratica le potenzialità teoriche di un’accordatura basata su intervalli di quinta leggermente calanti che consentissero di suonare le terze in modo perfettamente consonante. Per dimostrarlo Bach scrisse una raccolta, tra il 1722 e il 1744, componendo un libro di preludi e uno di fughe, per un totale di 24 pezzi “gemelli” suddivisi tra tutte le 12 tonalità, partendo dal Do Maggiore e proseguendo con Do minore, Do# Maggiore, Do# minore, e così via, seguendo la scala cromatica fino al completamento di tutte le tonalità maggiori e minori, e dimostrando la necessità del definitivo abbandono delle teorie passate, preparando il mondo all’avvento della musica dodecafonica. Con Bach si ebbe il primo grande esempio di come, grazie alla nuova “accordatura”, le alterazioni potessero diventare “naturali” semplicemente entrando a far parte dell’armatura di chiave.
Penso a ciò ogni volta che vedo un calice di champagne, rendendomi conto di come una alterazione all’inizio scomoda, o non desiderata quale la rifermentazione in bottiglia di un vino fermo mediocre, abbia generato una perfezione di armonia in esso, una volta che è stata teorizzata, ovvero nel momento in cui si è compreso come renderla riproducibile e come perfezionarla. Dom Perignon come Bach fu il primo in grado di dimostrare le potenzialità della rifermentazione attraverso l’introduzione del concetto di assemblaggio: vini diversi, tra cui i rossi vinificati in bianco, ma anche differenti parcelle di vigneto, vinificate separatamente per la valorizzare dei differenti terroir.
E così l’alterazione nel vino ha consentito di preservare e potenziare le migliori qualità naturali delle uve.