di Rizzo Fabiari
Un paio di settimane fa ho bevuto al ristorante con amici uno dei vini più estremi delli ultimi tempi. Della serata riscriverò prossimamente. Sul primo vino stappato trascrivo invece qualche nota a parte ora. Il suo modo di proporsi è quantomeno assertivo, tutto meno che all’insegna dell’understatement: etichetta con disegno in bianco e nero di fanciulla magrissima che si ràvana nelle mutande, nome nemmeno velatamente allusivo, ma proprio esplicito, J’en veux (più o meno “ne voglio”).
I dati biografici del vino, un rosso, sono particolarmente extraparlamentari:
1) produttore: Jean-François Ganevat, ispirato, originale, caratteriale vignaiolo del Jura
2) uve: 17 varietà locali, da sconosciute a sconosciutissime
3) diraspatura a mano (!), pratica noiosa e maniacale come poche
4) vinificazione claustrale, vecchi torchi, tini troncoconici, nessun intervento chimico e quasi nessuno fisico/meccanico, niente solforosa
A sua volta il vino finito non si tirava indietro quanto a carattere estremo: 11 gradi d’alcol dichiarati, colore rosa cipolla chiaro, anemico, odore di talpa morta per i primi dieci minuti, poi di piccoli frutti di bosco acerbi, volatile che saliva al cielo e si collocava in orbita geostazionaria, palato scarnificato, acquoso, molto fresco, corto. Una volta ripulito olfattivamente, un vino indubbiamente “gastronomico”, buon compagno della tavola per piatti non monumentali, snello e ossuto come Fassino ma ruvidamente gustoso. Direi che così il pendolo della moda ha raggiunto o si è molto avvicinato all’estremo opposto, per dire, di un Don Antonio del 2000.
Al produttore che volesse fare di meglio, suggerisco: taglio dell’uva e abbandono della stessa in terra, tra i filari; raccolta del liquido percolante dopo qualche giorno (una piccola manipolazione necessaria); eliminazione con rame della solforosa generata naturalmente; imbottigliamento senza etichetta, senza capsula e senza tappo (con o senza tappo il “vino” non subisce alterazioni di sorta); nessuna messa in commercio (una pratica troppo consumistica); nessun consumo (una pratica consumistica).