di Armando Castagno
Credo fosse la metà di giugno del 2003 e faceva un caldo venusiano; l’asfalto di Roma fumigava vapore, si faceva di gomma sotto le scarpe, e nessuno di noi aveva idea di QUANTO ancora ci sarebbe toccato boccheggiare. Per la prima volta, ero stato precettato come commissario d’esame al test finale del terzo anno (l’esame cosiddetto “di Stato”) del Corso per Sommelier, nelle sale dell’allora Hilton.
Ero emozionato e insicuro, ma la sessione della mattina se n’era andata abbastanza velocemente: cinque allievi interrogati, cinque promossi, uno nonostante mi avesse detto che la Garganega era il vitigno tipico del Gargano, da cui il nome, e una nonostante non fosse riuscita a trovare l’azienda neozelandese nella lista propostale (“Palliser Estate? No, e che c’entra l’estate? – pronunciato all’italiana). Ma mi sentivo buono quel giorno, e loro non potevano sapere quanto fortunati erano stati a capitare con me. In fondo ero stato uno di loro tre anni prima, e tale mi sentivo ancora; ero la loro singolare vendetta del destino, il loro riscatto, ciascuno di loro doveva uscire dall’esame dicendo: “dopo tanta sfiga beh, oggi mi è capitato un angelo: è andato tutto bene”.
Il collega e amico Franco Siciliano si avvicina al mio tavolo verso l’una. Afferro che mi vede un po’ provato.
“Armandino… andiamo a prendere un caffè?”
“Volentieri, Franco, ma dove?”
“Non c’è scelta. Qui all’Hilton, nella hall all’ingresso c’è un bancone bar, e di lato, delle poltrone. Ci buttiamo lì un quarto d’ora, dai. Stacchiamo un momento.”
Dalla colossale vetrata di fondo straborda la luce della controra; si avverte solo il chiacchiericcio dei pochi avventori seduti e qualche gridolino di turista arrosto che viene dalla piscina. Mi tuffo in poltrona, allento la cravatta e apro i bottoni della giacca della divisa sociale. Il caffè costa una cifra nuova e priva di senso, ma è oggettivamente ottimo. Sento salire un filo di stanchezza; lascio andare la testa indietro sui cuscinoni contenitivi in velluto rosso e chiudo gli occhi per un attimo, lunghissimo. “Frà?” “Sì?” “Grazie. Mi serviva proprio”. “Prego, anche a me, ma è meglio che stiamo su che mancano ancora (e scandisce) o-t-t-o o-r-e”.
Riapro gli occhi e inquadro riflesso nel pavimento lucido un gruppo di quattro ombre che vengono a sedersi giusto dietro di noi (vedi schema più sotto; io sono B, Franco è C). Uno dei quattro, platealmente il più spavaldo (A), mi si mette schiena contro schiena e appoggia il suo strepitoso panama sul tavolino; è abbronzato come un tizzone e vestito come un proprietario terriero argentino, con un completo beige chiarissimo e la cravatta filiforme. La sua testa è a meno di mezzo metro dalla mia, sebbene girata, e quindi colgo ogni sua parola. Anche quelle che seguono.
Uno dei tre amici di Humphrey Bogart è molto preoccupato; PER L’ESAME, dice. Sgomito Franco. Sono quattro candidati all’esame. All’esame DA SOMMELIER. Possibile che non ci abbiano visto? Siamo in divisa, sia Franco sia io. Eppure, succede qualcosa a questo punto che mi fa capire che no, non ci hanno visto. Non ci hanno ASSOLUTAMENTE visto. L’amico dice all’uomo Del Monte: “A Fa… ma dimme ‘na cosa, ma te, hai studiato?” Lui si sbraca: “Stuudiaatoooo? Ahahahahahahahah,, uaaaahahaahahah.. Ma che sei scemo, a Mauré? Ma che te vòi studià? Ma pe’ cchi? Tanto nu’ avete capito che QUESTI NUN SANNO UN CAZZO? – e a questo punto tutto rallenta fino a ibernarsi:questi, chi? Questi, noi. Questi, io. Questi, Franco. Non sappiamo un cazzo…Guardo Franco… Franco guarda me da dietro gli occhiali … lui prosegue – “…e ahò, poi tanto ‘a prima domanna è sempre a piascere… je racconto du’ stronzate su’ a Siscilia e mezzo esame se n’è ito… e poi… je ‘nvento quattro cazzate su’resto, pijo e me ne vado. Cor diploma. Aaaahahahahahahaha! Ancora che ssudiate, eho? A cojoni! Ma chiudete quei libbri e godeteve er sole!”.
Ricordo che Franco mi fa “Andiamo, Armandino”, e poi ricordo che ci alziamo senza girarci e torniamo nella sala dell’esame. Io intristito, e anche un pelo alterato – appunto. Mangiamo frugalmente con i colleghi, poi alle 14 spaccate vengono riaperte le porte e fatti entrare i primi candidati del pomeriggio. Ed è qui che si manifesta la divinità, nella sua infinita bontà e sovrumana fantasia. Sottobraccio al caposervizio, che procede verso di me, c’è l’uomo Del Monte; i due si muovono al rallentatore. Tiro un gran sospiro, lo guardo e mi preparo a… oddio… a INTERROGARLO. Perché lo devo interrogare IO.
– “Buongiorno, si accomodi”
– “Buongiorno, professó”
– “Lei si chiama?”
– “Fabio X”
– “Ha studiato, immagino”
– “Certo, prossó… certo ch’o ssudiato… e in particolare m’ha interessato ‘a Siscylia… MAZZA CHE REGIONE INTERESSANTE, VE’?”
– “Molto. Vediamo allora con che domanda possiamo cominciare”
Mi sorride ammiccante.
– “Appunto pe’ quello che dicevo d’aa SISCYLIA… allora che faccio, prossó? J’aa dico? Eh? J’aa dico? Je dico a SISCYLIA?”
Lo guardo fisso e sillabo.
– “Qualitätswein bestimmter Anbaugebiete”.
Sgrana gli occhi.
Cerca un appiglio per lo sguardo.
Lo sguardo gli pattina sul tavolo e finisce preda del mio.
Apre le fauci.
Biascica qualcosa.
– “A’a Siscilia appunto è l’isola più grande der Mediteraneo, però ci sono molte zone al zuo interno dove ssoricamente appunto la cortivazione della vite è appunto possiamo dire di qualità e non di quantità, ma peraltro è anche una specie de serbatoio che…”
– “Mi parli in alternativa dei vini del Pfalz o della Rheinhessen ”.
– “Il Nero d’Avola è un vino appunto possiamo dire molto buono, soprattutto quello della cantina che adesso non mi ricordo bene ma ce l’ho sulla punta della lingua, è famosissima cazzo, mannaggia come cavolo se chiamava…”
– “Metodo di produzione dei Cava”.
Ormai sussurra; è un brusio.
– “Poi possiamo trovare l’Etna che è un vulcano possiamo dire molto alto e che quindi ci sono dei vini che sono molto minerali appunto e possiamo dire…”
– “Caratteristiche del terroir di Mendocino”
– “Montalcino?”
– “Mendocino”.
La voce è un soffio esangue.
– “Poi possiamo trovare anche le isole siscyliane, Pantelleria, boh, Lampedusa dove si produce mi pare un ottimo Moscato… i vini sono molto possiamo dire marini e possiamo dire…”
– “Languedoc-Roussillon”
Scuote la testa.
– “Tipologie di sezionamento del bovino adulto”
Scuote la testa.
– “Con cosa abbiniamo i carciofi?”
– “Nerodavola?”
– “ Classificazione dei Tokaji ungheresi, Szamorodni e Aszu”
Si deforma nel Grido di Munch.
– “Che?”
– “Mi parli del codice comportamentale di un sommelier, con particolare riferimento alle hall dei grandi alberghi”.
Si ferma e cambia espressione.
– “Ah, ecco, prossó… questa a lezione c’aavete detta, me sa”.
Mi guarda speranzoso.
– “No?”
Lo fisso. E’ una larva strisciante sul tavolo.
– “No, perché nu mm’aa ricordo… com’è a domanna, m’aa po’ ripete, per piascere?”
– “Mi parli della Sicilia”
Si blocca.
Mi guarda.
Quasi piange.
– “Ma è n’ora che j’aa sto a dì.”