di Raffaella Guidi Federzoni
Capitolo I – Da qualche parte bisogna pur cominciare
Il libro si chiamava “Il Brunello di Montalcino”, l’autore era Emanuele Pellucci, l’acquirente fu un biondo Sassenach solo angloparlante, il luogo di lettura un rudere piazzato nella boscaglia.
L’anno il 1983.
“Guarda, c’è questo Nello Baricci che ha solo quattro ettari di vigna, ma riesce a produrre vino e a camparci.” La foto mostrava un uomo di mezza età davanti al suo podere. Un posto che sarebbe potuto essere ovunque nella campagna meridionale toscana. Sarebbe potuto essere ovunque, ma era nel comune di Montalcino, più precisamente nel versante ovest della collina di Montosoli. Infatti l’etichetta riportava “Colombaio di Montosoli”.
Nello Baricci così diventò per due giovani inesperti ed entusiasti un mito e una meta a cui puntare.
Passarono gli anni.
Il tempo non è solo un grande taumaturgo, anche un sistema di lettura della nostra vita, di quello che sarebbe potuto essere e invece no, qualcosa d’altro è successo e per questo noi adesso siamo quello che siamo, punto e basta.
I tentativi miei e del biondo Sassenach di avere una vigna, produrre vino e camparci sono da decenni sepolti, ma Nello è ancora qui, la sua vigna ed il suo vino pure.
Il tempo mi ha insegnato a leggere che ciò che rimane è la parte più importante di una vita vissuta mentre quello che non c’è più, non c’è più e basta.
Nello è diventato mio amico. Ci siamo conosciuti, abbiamo flirtato nel modo spontaneo e pulito di chi ha condiviso l’esperienza del vino e della sua commercializzazione. Lui ha contribuito alla mia conoscenza del luogo, io alla vendita di alcune sue bottiglie. Non è che ne abbia mai avuto bisogno, il suo vino si è venduto, si vende e si venderà senza alcun bisogno del mio contributo.
Ma, insomma, nel mio piccolo sono intervenuta anche in questo.
Ci siamo continuati a frequentare sporadicamente negli anni, ho conosciuto la sua famiglia, ci vogliamo bene tutti.
Poi un paio di anni fa uno dei miei complici alterati mi propose d’intervistare Nello Baricci, testimonianza vera e verace di quel mondo contadino che ha gettato le basi di parte della realtà vinicola odierna ilcinese, accompagnandosi agli illuminati e lungimiranti proprietari terrieri locali, i pochi rimasti dopo l’esodo verso le città del secondo dopoguerra.
Raccolsi l’idea con entusiasmo, telefonai a Nello e lo andai a trovare per spiegargli come si sarebbe svolta l’intervista. Più che altro lo rassicurai, conoscendo la sua ritrosìa, dicendogli che sarebbe stata una chiacchierata informale e casalinga, senza cerimonie. Non solo, gli consegnai una bozza delle domande che gli avrei posto, in modo che potesse prepararsi le risposte.
Avuto il suo consenso, si trattava di trovare un registratore dato che i potenti mezzi a disposizione per il mio lavoro non comprendevano un aggeggio anche lontanamente utile alla bisogna.
Un collega compassionevole mi prestò il suo: ehm… un mattoncino con due micro bobine, quattro pulsanti e poco altro. Un oggetto a cui il collega di cui sopra era molto affezionato, ma che non avrebbe sfigurato nel campionario di un robivecchi-svuotacantine.
Armata di cotanta attrezzatura, in un caldo pomeriggio agostano mi sistemai nel salotto di casa Baricci, accanto all’allora novantatreenne Nello. Ad assistere partecipi c’erano il figlio Graziano, il genero Pietro, la moglie Ada. Passarono più di due ore, forse anche più di tre. Niente vino da condividere, solo qualche bicchiere d’acqua. Ore intensissime e dense di notizie, dettagli, amenità.
Ogni tanto facevamo una pausa, io riavvolgevo il nastro ed ascoltavo.
Tutto a posto.
Tornai a casa contentissima. Dopo qualche settimana consegnai registratore e bobine al mio complice alterato, molto più esperto di me nell’arte dello sbobinamento.
Passò ancora del tempo, mesi per la verità. Il collega mi fece delicatamente presente che avrebbe gradito il rientro a casa sua del registratore. A questo punto mi feci restituire l’apparecchietto intonso e decisi che avrei fatto da me. Qui di seguito c’è il risultato, domande e risposte in sequenza, scritte esattamente come sono state pronunciate, errori e sgrammaticature comprese.
Capitolo II – L’intervista
Bene, siamo qui con Nello, con Graziano, con la Signora Ada e con Pietro. Però la conversazione riguarda alla testimonianza di Nello sulla sua esperienza di vita che è piuttosto lunga.
Nello, tu quando sei nato?
Il 26 di maggio 1921
Sei nato proprio a Montosoli o all’ospedale?
No, io sono nato a Poggio Martelli, vicino a Montalcino, dove le donne non partorivano all’ospedale, in casa.
Ho capito, quindi questo Poggio Martelli non fa parte della proprietà di Montosoli?
No, Poggio Martelli era proprietà di un certo Salvioni, un piccolo podere.
I tuoi genitori erano mezzadri?
Sì, sì, mezzadri.
Quanti eravate in famiglia?
Eh, in famiglia s’era otto persone
Cioè babbo, mamma e i figlioli?
Cinque figlioli.
Ho capito, e tu a che posizione eri come figlio?
Io sono il secondo, avanti a me c’era una sorella
Quindi tu sei il maschio maggiore.
Eh sì.
E ti hanno fatto lavorare subito in campagna?
Per forza, allora s’andava…, ho fatto solo la quinta elementare, però quando si tornava da scuola toccava andare nella vigna, ancora da ragazzi, sette, otto anni, nove anni. Si faceva qualcosa.
Non c’erano le vacanze al mare.
Eh sì, io il mare non l’ho mai veduto.
Non sei mai stato al mare?
Ora; da ragazzo no.
Ho capito, quindi finivi la scuola e ti mettevano subito al lavoro.
Al lavoro, sì.
Avevate anche degli animali o solo terra?
Terra poca, un po’ di olivi, un po’ di viti, qualche vitello e basta.
E la proprietà dove hai creato il tuo Brunello quando l’hai avuta, o l’hanno avuta i tuoi genitori?
No quella l’ho acquistata io. A trentacinque anni ho fatto un mutuo a piccola proprietà contadina e ho acquistato questo podere a Montosoli.
Quindi era nel ’56?
Sì nel ’56.
E prima avevi lavorato da altre parti?
Prima ho lavorato da mezzadro, lavoravo per il padrone più che altro.
Sempre a Montalcino?
Sì, sempre nel Comune di Montalcino, sì, sì.
E hai comprato questo podere con l’idea di fare il vino o di fare altro?
Con l’idea di fare il vino, perché allora, siccome Montosoli, era la collinetta proprio veniva il vino bòno, allora ho cominciato con un po’ di viti piantate però dopo ho fatto un vigneto specializzato.
C’era qualcuno che ti dava consigli o sono tutte tue iniziative?
Nel primo da solo, dopo c’è stato il Dott. Ciatti che era dell’Ispettorato dell’Agricoltura a Montalcino.
E me l’ immagino, ma, senti, già allora dopo la guerra, negli anni 50 c’era già l’idea del Brunello come un vino particolare o solo di fare il vino in generale?
No, no allora di Brunello c’era solo qualche azienda grossa ma di piccoli non c’era. Poi, con questo Dott. Ciatti, ci ha riunito, ci ha messo assieme, ci ha insegnato tante cose, la potatura… e allora, dice “bisogna fa’ il Consorzio del Brunello” e io ho cominciato nel ’67 s’è fatto il Consorzio. Sono stato il primo firmatario del Consorzio. Nel ’67 ho impiantato ancora una vigna specializzata. C’ avevo altri vigneti , facevo il vino. Nel ’67 ho cominciato ad imbottigliare ancora il Rosso.
Ecco, infatti, una delle mie domande che ti farò riguarda proprio questo. Però, tornando indietro alla tua infanzia e giovinezza, riguardo al tuo rapporto con il vino. Quando hai memoria di aver cominciato a bere del vino regolarmente?
Allora da ragazzo qualcosa si beveva, ma si beveva poco perché il vino ‘un c’era. Più che altro si beveva la domenica.
Ah, bene, quindi tutti i giorni a tavola anche i tuoi genitori non bevevano vino, solo la domenica come festa.
Più che altro si faceva l’acquerello allora.
Spiega cos’è l’acquerello che è una cosa divertente.
L’acquerello si faceva, si prendeva la vinaccia, si faceva il torchiato e dopo con quella vinaccia si metteva in un recipiente, si metteva l’acqua e veniva dell’acqua un poco colorata. Ma gradi non c’erano.
Ho capito, quindi anche il tuo babbo beveva il vino solamente la domenica, a Natale.
Più che altro la domenica.
Perché anche era una cosa rara e preziosa.
Poi la produzione era poca allora. Metà bisognava darla al padrone.
Ai tempi della mezzadria.
Diamine, eh sì!
Quando tu hai comprato il podere nel ’56 I tuoi genitori erano ancora vivi?
Sì, sì, erano ancora vivi.
E il tuo babbo è stato contento di questa tua scelta?
Sì, sì è stato contento.
Ti ha appoggiato?
Sì, sì è stato d’accordo.
Ti ha aiutato nella vigna o era troppo anziano?
No, no, mi ha aiutato ancora nella vigna.
Bene torniamo a questa storia del Consorzio. Io so già da tempo che tu sei stato il primo firmatario, come rappresentante anche dei piccoli proprietari terrieri ex mezzadri. Quindi c’erano delle aziende più importanti di famiglie più importanti e poi questo gruppetto che è ancora molto forte di piccoli proprietari terrieri che sicuramente è servito molto diciamo a dare un aspetto forse più locale della produzione del Brunello. Però tu mi hai detto che hai cominciato ad imbottigliare il Rosso nel ’67.
Sì.
E il tuo primo Brunello?
Nel ’71.
Perché avevi piantato delle vigne che dovevano aspettare cinque anni minimo.
Eh sì, c’avevo ancora delle vigne piantate, ma non era tutto sangiovese. Allora bisognava fare la scelta perché ancora allora non c’era il disciplinare del Brunello ma comunque cercavo di fare il meglio possibile.
Però c’era la DOC.
No, non c’era neppure la DOC allora, quando ho cominciato non era neppure DOC. È stato tutto merito di questo Dott. Ciatti. Dopo fondato il Consorzio dice “bisogna fare la DOC”. Allora invitarono la Commissione Nazionale a Montalcino. Sono venuti e si è ottenuto la DOC. Ora non mi ricordo che annata sarà stato.
Però non per il tuo primo Brunello imbottigliato. Non c’era ancora la DOC nel ’71.
Ora non mi ricordo bene.
Non ti voglio confondere. Quanta produzione facevi di bottiglie?
Facevo fra setto/ottomila di Rosso e Brunello.
E ti ricordi, così per curiosità, a quanto lo vendevi?
Eh, no bisognerebbe andare a ritrovare le fatture.
Mi dice Graziano che era 3.000 lire una bottiglia di Brunello. E di Rosso te lo ricordi? Sarà stato 1.000?
Anche meno.
Che poi allora il Rosso si chiamava Rosso dai Vigneti del Brunello…
Sì.
L’etichetta è sempre rimasta la stessa, più o meno?
L’ho cambiata l’etichetta. Ho cambiato l’etichetta del Rosso e del Brunello.
Perché io l’ho vista sempre uguale però sono arrivata molto dopo.
Senti, una cosa volevo sapere: chi sono stati i tuoi primi clienti? Cioè quando tu hai cominciato ad imbottigliare il Rosso che poi suppongo venisse venduto subito ed il Brunello imbottigliato pure.
Sì.
Avevi già dei clienti, oppure l’hai fatto e poi te li sei dovuto andare a cercare?
No, non sono andato a cercarli. I clienti sono venuti a cercarmi a casa. Ho cominciato con qualche cliente svizzero, tedeschi. Via via in pochi anni non facevo pari a contenta’ i clienti.
Quindi, diciamo Nello, che alla fine degli anni ’60 e nei primi anni ’70 c’era già un gran turismo “enoico” verso Montalcino. Soprattutto dalla Germania e dalla Svizzera. Venivano apposta per comprare il vino.
Sì, sì.
Mi dicono che gli stessi clienti che sono venuti da ragazzi, adesso ritornano tutti gli anni comunque a comprarlo, portando gli amici degli amici. Poi c’è quell’aneddoto di un tuo cliente e suppongo amico dopo tanti anni. La prima volta che venne, per riempire la macchina… raccontamelo un po’ con le tue parole.
Siccome con il cartone tanti, tanti nella macchina… allora aprirono i cartoni e metterono le bottiglie fino quasi ai seggiolini.
Bei tempi!
Da quello che capisco tu prima hai avuto una clientela straniera, soprattutto di lingua tedesca che italiani.
C’erano anche italiani, ma più che altro tedeschi e svizzeri.
Gli italiani ti hanno scoperto un pochino più tardi?
Diciamo che prendevo più tanti quattrini dai tedeschi che dagli italiani.
Molto comprensibile, assolutamente condivisibile Per quello che ti puoi ricordare, come venivano mandati da te? Voglio dire, non è che l’azienda dalla strada sia identificabile, arrivare a Montosoli bisogna saperlo. Altrimenti se nessuno lo sa, non è che diceva “vado da Baricci”, magari andava dai nomi più importanti, dalle famiglie più importanti. C’era qualcuno in paese, negozianti, ristoratori che gli davano indicazioni per venire a comprare da te?
Sì, quando arrivavano a Montalcino domandavano “Baricci?”
Quindi arrivavano già con il nome Baricci conosciuto.
Sì, sì.
Secondo te questo a cosa è dovuto, al fatto che qualche primo cliente ha sparso la voce o c’è stata una pubblicità fatta apposta?
No, no, pubblicità no. Il vino piaceva e allora da uno all’altro si sono passati la voce. Insomma io ho fatto un monte di clienti.
Sei stato fortunato perché sei stato bravo.
(continua)
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