Lo stile nei vini: i punti di vista di Wilde e di Korčnoj

di Fabio Rizzari

Nel corso degli ultimi due decenni di attività vinologica ho usato il sostantivo stile – e l’avverbio stilisticamente, e gli aggettivi stilistico, stilizzato – in tutte le salse. Profilo stilistico, modello stilistico, dal punto di vista stilistico, stilemi classici, stilemi imprevisti, stilisticamente stilizzato.
E ovviamente: senza stile.

Lo stile di un vino è perciò un elemento decisivo nella sua valutazione critica. Almeno per me. Ma chiédecisi: è questo un valore assoluto, o è a sua volta soggetto, come ogni cosa sotto il cielo, ad avere eccezioni?

Vediamo due sentenze di polarità opposta:

“Nelle questioni di grande importanza è lo stile, e non la sincerità, ciò che davvero conta”
Oscar Wilde

“Stile? io non ho alcuno stile”
Viktor Korčnoj

Oscar Wilde non va presentato dal momento che i suoi aforismi intasano ogni angolo del web. Il roccioso russo Viktor Korčnoj, un nome obiettivamente molto meno noto, è stato uno dei maggiori scacchisti del secolo scorso.

Tradotta in vinese, la faccenda si può tagliare con l’accetta così. Esistono vini in cui lo stile scelto dal produttore è evidente e in primo piano: un bianco di stile borgognone, buone dosi di legno nuovo all’olfatto e al gusto en vin jeune; un rosso di stile bordolese, ricco di estratti, a sua volta boisé, con qualche nota vegetalozza da cabernet; un vino di stile naturale (non naturale e basta, bàdisi), spunto o in parte ossidato o in parte puzzolente; eccetera. Sono la grande maggioranza dei vini.

Esiste poi una netta minoranza di vini in cui la traduzione dall’uva al prodotto finito, che ovviamente è opera umana e non scesa dal cielo per influsso stellare o trascendente, è priva di stile. È, come per le marce delle automobili, per così dire in presa diretta. Sono vini che la critica francese chiama sans signature, senza firma dell’artefice.

Di più: sono vini senza stile. Un concetto particolarmente scivoloso da maneggiare teoricamente, perché confina con l’idea di purezza, che invece non ha cittadinanza nelle campagne, in un manufatto rustico come il vino. Per un utile raffronto lèggasi il significativo post alterato di Giampiero di qualche tempo fa.

A questo punto sembra pronta una dichiarazione d’amore verso i vini senza stile. Che però non faccio. A me lo stile piace. Dévesi vedere. Altrimenti saremmo nei pressi di un altro bell’aforisma wildiano: “la naturalezza è semplicemente una posa, la più irritante che conosca”.

Ci sono altre eccezioni. In alcuni vini, rarissimi, l’assenza di stile è solo apparente. Lo stile c’è, ma viene abilissimamente nascosto dal suo interprete. Come nell’incredibile Aligoté 2017 di Coche Dury, un bianco che sembra scaturito da una roccia alpina: limpidissimo, cristallino, senza aromi e purtuttavia pieno di sapore.
Un vino che trascende i confini della vinità stessa.

D’altra parte non dicono forse i gallici: “cacher l’art par l’art même”, nascondere l’arte con l’arte stessa?

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