Liste di attesa

di Fabio Rizzari

La lista, che si presenta nella esperienza quotidiana del bipede umano nelle sue forme più banali e apparentemente svuotate di significato profondo – la lista della spesa, la lista dei debiti presso i fornitori – è invece portatrice di piani di lettura pressoché infiniti. Basti citare il tardo saggio di Umberto Eco “La vertigine della lista” (Bompiani, 2009), in cui il vasto apparato di ramificazioni teorico/filosofico/linguistico/ermeneutiche della lista viene sviscerato con il consueto, implacabile acume.

Nell’orto enoico la prima lista che viene in mente è quella dei vini al ristorante. E in seconda battuta la pletorica popolazione di liste dei vini premiati ogni anno: liste più numerose dei vini semplicemente “recensiti” nelle rispettive pubblicazioni.

C’è una sottocategoria di liste vinose che risulta meno comune e nei fatti più elitaria, ed è quella delle liste d’attesa per avere un’assegnazione di bottiglie presso un grande produttore.
È un mondo a parte, ovattato, fatto di ristoranti stellati, facoltosi collezionisti, enotecari tenaci, che si dispongono ad attendere anni per ottenere qualche sparuto flacone del grande vino.

Su questo soggetto il giornalista e volto televisivo francese Bernard Pivot ha addirittura scritto un giallo in cui una serie di delitti in apparenza non collegati tra di loro emerge come un tentativo dell’assassino di risalire posizioni nella lista di attesa per avere un’assegnazione dal leggendario vignaiolo borgognone Henri Jayer.
Il terreno più battuto della battaglia per entrare in una lista d’attesa prestigiosa è giustappunto il rinomato bacino produttivo della Borgogna.

Qui le mie – scarse ma affidabili – fonti di informazione mi dicono che sta avvenendo una mutazione significativa: il vecchio mondo del gentlemen’s agreement, dell’accordo verbale vincolante quanto un ferreo contratto scritto, sta cedendo il posto a una più corrente disinvoltura mercantile. Persone che erano assegnatarie da decenni del grande domaine x o del celebrato vigneron y si ritrovano dall’oggi al domani ri-buttate in lista d’attesa. Senza spiegazioni.

Non è ancora un fenomeno diffuso né tantomeno pervasivo. Eppure segna una soluzione di continuità con l’antica immagine – stereotipata quanto si vuole – del produttore borgognone contadino bonario, artigiano, onesto. D’altra parte, banalmente, non è forse la Borgogna la terra più concupita dalla grande speculazione planetaria del vino?
Parallelamente i tempi di attesa medi si dilatano a dismisura. Due o tre anni fa un conoscente ha provato a sondare la disponibilità di uno dei maggiori domaine di Gevrey-Chambertin: nove anni, si è sentito rispondere.

L’appassionato medio può consolarsi pensando che per ottenere una fornitura di preziose crocchette di manzo kobe dalla inattingibile ditta giapponese Asahiya di Takasago occorre aspettare trent’anni, come illustra un ampio articolo della CNN. E non è una battuta. Trenta. Anni.
Buona attesa.

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