di Giancarlo Marino
Ad un certo punto della storia di ciascun appassionato è quasi certo che si crei una particolare passione per un vino, di una certa zona o di un certo vitigno. Potrei citare la mia passione per la Borgogna, ma non è di questo che voglio parlare, perché in realtà il fenomeno può riguardare chiunque e qualsiasi vino: quello che per me rappresenta la Borgogna, può rappresentare il sangiovese per un altro o il nebbiolo per un altro ancora e così via.
Passione, certo, che a volte però può trasformarsi in una vera e propria fissazione. Gli esperti di psicoanalisi potrebbero spiegare che la fissazione è lo “stallo di una pulsione”: eludendo la ragione, la fissazione ci trascina nell’inconscio e impedisce la normale evoluzione degli stimoli, impedendoci il distacco dall’oggetto della stessa fissazione.
Questa soluzione, però, non mi ha mai convinto. Innanzitutto perché il mio sistema di stimoli gode di ottima salute e il distacco dall’oggetto della mia passione è ancora possibile, considerata l’attrazione che su di me hanno molti vini di tipologie e provenienze diverse. Ma forse anche perché spero di non essere ancora al punto da dovermi sdraiare sul lettino di uno psicanalista.
Ma, allora, perché queste passioni con tendenza alla fissazione?
La risposta più corretta dovrebbe essere “non lo so”. Purtroppo però sono abituato a sentirmi chiedere il perché della mia passione sfrenata per la Borgogna e quindi, volente o nolente, una risposta convincente me la sono dovuta andare a cercare.
Messo da parte Freud, mi è venuto in soccorso Goethe.
Non so chi di voi abbia letto “Le affinità elettive”, del 1809. In questa opera ho trovato spunto per la risposta che, almeno per il momento, mi convince di più.
Goethe si interessava a diverse discipline scientifiche, in particolare alla chimica, che hanno influenzato la sua stessa opera letteraria. Studiando la chimica aveva appreso che il legame tra due elementi chimici può venir meno introducendo elementi estranei, poiché questi vanno a legarsi a loro volta con quelli preesistenti, dando vita a realtà nuove e diverse, per “affinità elettive”. Parlando dei quattro personaggi dell’opera, dice: “I casi più notevoli e interessanti sono appunto questi, che possono darci rappresentazione reale dell’attrazione, dell’affinità, di questa specie d’incrocio nell’abbandonarsi e congiungersi; qui vi sono quattro elementi, finora accoppiati a due a due, che portati a contatto sciolgono la loro unione primitiva per formarne una nuova. In questo lasciarsi andare ed afferrarsi, in questo fuggirsi e cercarsi pare davvero di scorgere una determinazione superiore; noi attribuiamo a tali sostanze una specie di volontà e di scelta, e perciò il termine tecnico di affinità elettiva è perfettamente giustificato.”
Per Goethe le leggi che regolano la natura e i fenomeni chimici sono le stesse che regolano le relazioni umane. È nella natura dell’uomo tentare di aderire ai modelli sociali tradizionali, cercando di opporsi a queste leggi, ma ogni sforzo e ogni tentativo sarà vano perché la ragione verrà sopraffatta dalle affinità elettive. L’opera dipinge con bagliori pessimisti un preciso periodo storico: la disgregazione dei valori della nobiltà settecentesca e l’ineluttabilità del destino; ma, allo stesso tempo, fa emergere aspetti rassicuranti e liberatori, rappresentati dalla possibilità per l’uomo di liberarsi dalla ineluttabilità degli obblighi imposti dai valori e dalle regole preesistenti.
Ecco, quindi, che affinità elettive, ineluttabilità del destino e irrefrenabile impulso liberatorio assurgono, se Goethe non si offende, al ruolo traccia da seguire per arrivare ad una risposta convincente al quesito di cui parlavo.
Cito la mia esperienza, al solo fine di inserire il pensiero in un contesto che conosco molto bene.
Ad un certo punto del mio percorso “enoico”, ho preso coscienza dell’insoddisfazione verso taluni dei modelli e dei valori più in voga in quel momento. Re Sole era un americano, con un modello di vino ben rappresentato da certi Bordeaux e Chateauneuf de Pape ricchi di materia e di alcool, circondato dalla nobiltà che in ogni paese riproduceva quello stereotipo anche per tipologie di vino completamente differenti. Pochi rivoluzionari/terroristi (ma oggi, forse, dovremmo chiamarli terroiristi) si asserragliavano nelle proprie terre e tentavano di proporre una alternativa al modello imperante, tra tradizione ed oculato illuminismo, spesso nel silenzio omologante di certa stampa.
All’irrefrenabile impulso liberatorio hanno fatto seguito, in me, l’ineluttabilità del destino e le affinità elettive. Sono pressoché certo che un ruolo decisivo lo abbiano avuto le affinità elettive, e che si sia quindi trattato di alchimia. Incontrando la Borgogna, i rispettivi elementi preesistenti si sono rimescolati dando vita a una nuova unione; ci siamo piaciuti per affinità, come se entrambi stessimo solo aspettando di incontrarci.
Non so infine se ho scelto io la Borgogna, o se sono stato scelto, ma mi piace pensare che sia stato il destino.